Dopo la definitiva consacrazione e maturità raggiunta con “The Mountain” quasi non avevamo dubbi che il quarto lavoro sarebbe stato ancora una volta molto ispirato e sorprendente nella misura giusta.
“Affinity” non tradisce le aspettative. La band si mantiene all’incirca sulle coordinate tendenzialmente avant-garde metal mostrate nel lavoro precedente senza disdegnare le influenze dreamtheateriane mostrate fin dagli esordi, continuando a proporre soluzioni geniali e spiazzanti per le orecchie dell’ascoltatore e in generale una mescolanza di elementi sempre piuttosto ben studiata ed originale.
Originalità compositiva che si esprime ai massimi livelli ad esempio nel brano “The Endless Knot”, un pezzo tamarrissimo che mischia sapientemente avant-garde metal e influenze che sembrerebbero addirittura provenienti dalla dubstep. Mix intelligentissimo anche in “1985”, un salto negli anni ’80 ma con i piedi saldamente incollati nel presente: il loro prog/avant-garde metal si fonde perfettamente con l’AOR più sincero ma anche con le sonorità dei Dream Theater prima maniera; le chitarre distorte convivono benissimo con i tastieroni anni ’80 e le percussioni elettroniche, tutto sembra amalgamato con estrema naturalezza. Influenze AOR e ottantiane anche nell’orecchiabile “Earthrise”, un brano quasi pop-rock, potremmo definirlo hard-pop, con un ritornello estremamente catchy e una melodia più che mai potente, aggiungici poi degli inserti d’ispirazione synthpop nelle strofe e un motivetto d’archi sullo stile di “Viva la Vida” dei Coldplay verso la fine e ti accorgi che sono davvero riusciti nell’intento di creare un brano vario e sofisticato che allo stesso tempo non risulti ostico alle orecchie meno aperte.
“Red Giant” invece suona fredda e notturna senza sembrare seriamente dark; suoni “glaciali” e un approccio quasi indie, riscontrabile anche nella bella fuga di basso che interviene verso il finale. Molto notturna anche la conclusiva e lenta “Bound by Gravity”, con una ricerca dei suoni e della quadratura melodica davvero pregevole, una melodia ed un approccio riflessivo ma in crescendo, di ispirazione quasi post-rock; un brano con un’atmosfera quasi da fresca e ventilata sera d’estate.
Il brano con la melodia più solare e “luminosa” è però “Lapse”, melodia propiziata da brillanti chitarre e voce cristallina; anche quando le chitarre picchiano dure il brano si mantiene brillante, così come nemmeno i cupi effetti elettronici ne riescono ad intaccare la potenza melodica. Da un punto di vista chitarristico e vocale ma anche generale mi ha ricordato da vicino i Sieges Even più melodici dell’ultimo periodo, in particolare il brano “Tidal”.
“The Architect” (con Einar Solberg dei Leprous ospite) invece non sarà estremamente spiazzante come altre tracce ma offre 15 minuti di prog/avant-garde metal moderno e variegato, fra chitarre affilate, synth potenti, strani effetti cupi, passaggi tipicamente dreamtheateriani e cupi soli di basso. “Initiate” (dopo una non entusiasmante intro) è invece una perfetta apripista, affilata e diretta senza troppe sperimentazioni significative, messa al centro del disco sarebbe risultata quasi un riempitivo o un brano con poco da dire ma il fatto di trovarsi all’incipit la rende notevole, l’essere funzionale al suo ruolo è un punto di forza.
Gli Haken si confermano quindi una formazione forte e proiettata verso il futuro, una delle innovatrici del progressive. Mi ha fatto rabbrividire abbastanza il commento di chi li ha definiti “una versione discount dei Dream Theater”, non riconoscendo affatto la genialità compositiva di questa grandiosa band, una genialità che è quasi impossibile non individuare e che fa sembrare un simile commento addirittura blasfemo; spero tuttavia che l’autore del commento riascolti bene la band e si ricreda!
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