“Ombre”, parte prima.
Faceva un bel caldo quella mattina di agosto. Sentivo le cicale cantare in lontananza mentre me ne stavo seduto sugli scaloni della banca, attendendo che aprisse, prima di recarmi a lavoro. C'era una leggera brezza nell'aria, il cielo era parzialmente velato ma non minacciava pioggia... Eppoi un bagliore accecante, un turbine di vento dalla forza indescrivibile, frantumò ogni atomo del mio corpo, e mi sciolse nell'aria: solo la mia ombra testimoniò la mia presenza sul freddo marmo dei gradini di quella banca, che l'esplosione rase totalmente al suolo.

“Ombre”, parte seconda.
Quella tegola doveva essere sistemata: appena seppi che l'indomani non avrebbe piovuto preparai tutti i miei attrezzi ed andai a dormire. La mattina appoggiai la scala al tetto, poi rientrai in casa per prendere il necessario e uscii nuovamente. Avevo appena messo un piede sulla scala quando vidi con la coda dell'occhio l'ombra che proiettavo in terra espandersi a dismisura: mi voltai verso quello che credevo essere il sole ma sentii la mia retina bruciarsi immediatamente. Non ebbi il tempo di gridare, di me non rimase che il vapore, e un'ombra fusa assieme a quella della scala appoggiata al muro di casa.

Già il loro debutto aveva destato ottime impressioni, ma non mi sarei mai aspettato dagli austriaci Harakiri For The Sky un disco come questo “Aokigahara”. Non che il precedente lavoro fosse brutto, semplicemente era un po’ troppo debitore del filone post black metal “urbano” (stile Lantlôs, Heretoir o Amesoeurs per intenderci), e mancava di originalità e di validi appigli. Ma con il loro secondo album i ragazzi fanno centro, prendendo spunto dall’ariosità dei Deafheaven, dal senso melodico intriso di malinconia dei Thränenkind, e aggiungendo al tutto una buona dose di personalità. Se proprio dobbiamo trovargli un difetto questo si può riscontrare forse nel cantato, uno scream rabbioso che alla lunga però può stancare e sembrare monotono, rimbombando un po’ nelle orecchie dell’ascoltatore quando si sta per toccare gli ultimi pezzi del disco, ma è un dettaglio minore e fortemente legato alla soggettività.
Le nove canzoni scorrono via molto agili, complici una durata mai troppo elevata e uno spiccato senso della melodia che si sposa perfettamente con la ruvidezza delle radici black della band, rendendo ogni minuto piacevole e l’album fresco anche dopo alcuni ascolti. Purtroppo nella versione CD non è incluso un pezzo da novanta presente invece su vinile, la cover di “Mad World”, che vi consiglio vivamente di procurarvi. Dove la versione resa nota ai più da Gary Jules era venata da una struggente e rassegnata malinconia, qui la rilettura in chiave post black metal assume dei connotati di disperata rivalsa, che la rendono uno dei picchi del disco.

Per chi ama queste sonorità, così odiate da molti puristi TRVE del black metal, “Aokigahara”.è un disco da avere e da consumare tutto d’un fiato, degno rappresentante di un genere che sta ormai vantando alcuni elementi di sicuro spicco e facilmente riconoscibili ed individuabili nella massa.

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