Se oltre la siepe c’è il buio, dentro al giardinetto di Harper Lee c’è un capolavoro.
In un periodo dove di siepi, di muri e di mari ne nascono a centinaia, leggere “To Kill a Mockingbird” (1960) non può che aiutare a capire e a comprendere l’ignoto frutto del pregiudizio, può servire ad abbattere, o almeno a scalfire, gli steccati nelle nostre coscienze che piano piano vengono rinforzati dalle tragiche notizie che ogni giorno ci vengono sbattute in faccia dai mass media, steccati che diventano fossati, pieni di coccodrilli, grazie a politiche poco lungimiranti e a politici molto ignoranti.
Quella siepe che divideva il mondo dei piccoli Finch (Scout, la protagonista che racconta in prima persona la storia e Jem, il fratello più grande) dal giardino dei Radley, era un confine invalicabile costruito sulla paura dell’ignoto rappresentato in modo eccellente nella figura di Boo, il figlio segregato in casa, forse insano di mente e dalle fattezze disumane per i due bambini, sempre accompagnati nelle peripezie estive dall’amico fidato Dill. Ma più si alza lo sguardo da quelle poche vie del quartierino di quel paesello degli anni ’30 dell’Alabama in piena “Grande Depressione”, più le siepi si fanno fitte e imponenti. Dividono le persone, i bianchi di qua e i neri di là e nulla può quella meravigliosa figura dell’avvocato Atticus Finch che cerca inutilmente di salvare da una condanna ingiusta Tom Robinson, un povero “negro” accusato di violenza verso una giovane bianca. Atticus sfiora la perfezione letteraria, è un padre vedovo che lascia spazio all’individualità dei propri figli, integerrimo in qualsiasi situazione familiare e sociale, “negrofilo” per i suoi concittadini carichi di razzismo, troppo normale e “piatto” per le aspettative dei figli. La figura materna viene coperta da Calpurnia, la domestica nera tuttofare, rigida e inflessibile quanto dolce e indipendente. Il Premio Pulitzer del 1961 muove alla perfezione i personaggi del racconto elevando la narrazione a manifesto per il movimento dei diritti civili a favore degli afroamericani che, proprio nei primi anni ’60, urlava al mondo intero la fine della segregazione e delle discriminazioni razziali.
Un'opera geniale dalla prima all’ultima pagina, un caposaldo della letteratura USA del XX secolo, scritto semplicemente e magistralmente, perfetto da leggere a qualsiasi età, consigliato agli adolescenti in fase formativa e agli adulti craponi già belli e formati.
Uccidere un uccellino indifeso è peccato, è violenza pura da condannare e contrastare. Di uccellini in giro ce ne sono sempre più e sono sempre più deboli sotto il tiro di cacciatori senza coscienza. E la stagione della caccia sembra oramai non finire mai...
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