Ci sono alcune band che, individuata una formula e un canone ci si crogiolano e vivono di rendita. Altre band, invece, nonostante siano legate a un "genere", cercano di progredire e cercare di dire qualcosa di nuovo. E' questo il caso degli Harvey Milk (il nome della band è preso da uno dei più famosi attivisti della comunità gay di San Francisco, assassinato nel 1978) che con questo ottimo "Life... The Best Game in Town" (edito dalla sempre valida HydraHead) si fanno notare nella scena doom/sludge/stoner inserendo nel proprio sound una connotazione personale e "innovativa".

Dopo alcuni cambi di line-up, i 4 di Athens (eh si, la città di REM e B-52's) reclutano il chitarrista (già bassista in Melvins e High on Fire e unico responsabile del progetto Thrones) Joe Preston e sfornano 10 ottime e variegate canzoni. Sin dall'apertura del disco ("Death goes to The Winner") si intuisce con cosa si ha a che fare: chitarra e voce pulita (con Creston Spiers che canta di Santa Claus e di suicidi, mischiando citazioni di Velvet Underground e Beatles) che si trasforma in una valanga di feedback, cantato gutturale e percussioni "pestate", finendo con un terrificante accordo di piano che ne sottolinea il testo ("woke up, get out of the bed, put a pistol on my head!").

Lo stile eterogeneo della band viene evidenziato in canzoni come "Decades" (più legata al canone sludge/stoner) lenta e pesante o in "Roses" (di nuovo, da un inizio acustico, ci gettano in una personale power-ballad di stampo melvinsiano intervallata da inserti di piano e voce), in "Motown", molto cadenzata, e nella conclusiva "Good Bye Blues" in cui i nostri, già dai titoli, ci ricordano che l'origine della loro musica è inconfondibilmente nera e ci regalano la loro personale interpretazione del blues di oggi, pesante e disperato, metallico e senza scampo, che pesca anche dalle strutture musicali prepotentemente hard rock di Led Zeppelin e Lynyrd Skynyrd (la veloce "Barn Burner", con un cantato più urlato che gutturale). Oltre a questo tipo di influenza, si fa notare anche la terza grande ispirazione del suono degli Harvey Milk, il punk rock: la stravolta cover dei Fear (il primo gruppo di Flea) "We destroy Family" suona in tal senso, il gruppo rilegge il punk attraverso la propria paranoia e ossessività.

Il gruppo di Athens si (ri-)presenta, quindi, con un sound molto variegato anche se sempre ben ancorato alle sonorità monolitiche tipiche del genere, ma che tenta (riuscendoci in pieno, peraltro) di introdurre un certo grado di varietà nella musica: la sensazione è che gli Harvey Milk abbiano trovato il "giusto mezzo", fra potenza sludge e complessità rock, fra staticità, feedback e assoli melodici di chitarra, regalandoci uno dei migliori dischi usciti nel 2008 in questo campo.

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