Ancora una volta sono costretto a cassare qualsiasi pretesa recensorea.
Primo perché sarebbe quasi inutile considerato lo sterminato valore di questo disco che dovrebbe essere preso e ascoltato (e ascoltato e ascoltato etc.) in secundibus poichè l'è una tale opera mesmerica che più che una recensione il tutto dovrebbe articolarsi secondo un'analsi psichico-pneuamatica, tale da spiattellare in pubblico, ma internet non è il pubblico, le proprie nevrosi und frustrazionen (chi non ne è afflitto lo dica prima per favore che il disco in questione è anche "eudemonico" quindi farà levitare e lievitare la vostra sedicente happiness).
Tecnicamente il disco è un live performato da Roy Montgomery e i Bardo Pond del '97 composto da sette tracce dalla lunghezza media infinita la cui caratteristica è data dallo spazio acustico immerso in una nebulosa fonetica da cui emergono suoni cristallini, droni ipnotici, variazioni minimaliste da sembrare un viaggio nella galassia immersi nella "farragine azzurra delle stelle" (P., o T., Verlaine).
Vista la mole consiglio di ascoltarlo in orari particolari, tipo le 15.48 di un martedì o le 17 di un venerdi primaverile oppure fate come me che siccome sono 3 anni che vado a letto alle 5 perché ho paura della notte, ho paura di me nella notte, l'altra volto che il cielo si incelestiva l'ho piazzato a discreti decibel, una volta ho letto su una rivista femminile che il suicidio non è perdita di fiducia nel futuro ma impossibilità di reperire un senso al proprio passato, ebbene la finestra era aperta e nell'aria ialina, perlucida ho pensato che dopotutto i 27 anni a guardare lo stesso enorme arancio dalla stessa finestra che nel mattino si schiudeva verde magari avevano qualcosa ancora da dire(mi).
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