Gli Hawkwind sono una band inglese dei primi anni 70, che gran parte della critica include forzatamente nella categoria hard’n’heavy. In realtà il gruppo di Calvert e Brock inventò un nuovo idioma musicale: lo space-rock. La proposta musicale degli Hawkwind è molto più vicina all’acid rock, al free jazz e all’avanguardia minimalista che all’hard rock. Ipnotico, inebriante ed etereo, il loro “rock spaziale” raccoglie la lezione dei Grateful Dead (maestri della jam improvvisata) e la adatta ad una nuova ed originale miscela sonica che include ritmi ossessivi e martellanti, squarcianti e reiterati riff di chitarra, languidi e interminabili assoli di sax e flauto, lancinanti staffilate elettroniche

L’opener “You Shouldn’t Do That” è la quintessenza dell’Hawkwind sound: 15 vertiginosi minuti a ritmo serrato, in cui un banale giro di basso fa da motore inesausto a tutta una serie di variazioni sul tema, specialmente a livello di timbro e intensità (secondo la lezione minimalista). E’ una musica che, partendo da semplici spunti, li sviscera fino a giungere a momenti di puro fragore sonoro. Il carattere “spaziale” del loro sound non sta tanto nell’uso dell’elettronica, quanto nel fatto di concepire i brani come nebulose in continua ristrutturazione: l’impressione generale è quella di un blocco sonoro compatto ed omogeneo, sempre uguale a se stesso; in realtà, analizzando nel dettaglio il brano, si avvertono, ad ogni ciclo di accordi, piccoli grandi sconvolgimenti che rivelano, di volta in volta, una nuova musica, una nuova dimensione, un nuovo universo. Le canzoni degli Hawkwind sono magma sonoro in moto perpetuo.
 Se “Master of the Universe” è il brano del disco che più si avvicina ad una prassi hard rock, “You Know You’re Only Dreaming” e “Adjust Me” tendono all’astrazione, al caos, al puro incanto. Entrambe partono con una breve sezione vocale (la nenia onirica barrettiana della prima; il recitato ipnotico della seconda), per poi lanciarsi in meravigliose avventure free-form ai confini della realtà. A tracciare un suggestivo ponte tra futurismo e primitivismo, ci sono “We Took The Wrong Step Years Ago” e “Children of the Sun”, due brani di ispirazione folk, accompagnati da chitarra acustica. 
 Le bonus tracks si avvicinano maggiormante alla forma canzone: “Seven by Seven” (onirica profezia extraterrestre), “Silver Machine” (titanico e travolgente boogie), “Born To Go” (saliscendi vorticoso e tumultuoso, registrato dal vivo).

Un disco magico, imperdibile; un viaggio indimenticabile fra le meraviglie del cosmo: “In Search of Space” è una di quelle esperienze che restano.  

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