Ancor prima dei traffici e del deserto di "Breaking Bad", ancor prima delle esalazioni psicotiche di "True Detective", ancor prima del sangue di "Game of Thrones" e dei coltelli di "Boardwalk Empire", la violenza seriale nel nuovo millennio ha sede a Deadwood.
South Dakota, lontano anno del signore 1876. Little Bighorn e la disfatta di Custer è appena dietro l'angolo. A cento anni esatti dalla dichiarazione d'indipendeza, gli Stati Uniti sono ancora un groviglio di cittadine senza legge, indiani che massacrano di qua e di là, normative che faticano ad essere applicate. Uno stato che faticava ad essere accettato come tale. Deadwood è un piccolo microcosmo in costruzione, dove non c'è sceriffo, non ci sono leggi che tengano. In questa soffocante bolla di darwinismo del west vince il più forte e il più cinico. E' il solito vecchio "west" puzzolente di sporcizia, fango, whiskey, morte, puttane. Eppure non aspettatevi di vedere i grandi scenari e i paesaggi tipici del western d'annata: la stragrande maggioranza di tutti gli avvenimenti avviene in interni, tra le mura di legno di un saloon, un bordello o la semplice casa del dottore della cittadina. Dalla narrazione nelle grandi praterie, agli spazi angusti dei sotterfugi, tra l'oppio e l'alcool. Nel grande viaggio verso l'ovest e la "civilizzazione", l'America è nata anche così.
La prima stagione di questa serie, uscita ormai oltre un decennio fa (2004), ha avuto il grande merito di spostare l'asticella verso quella serialità altamente cinematografica che impera oggi in maniera profonda, diventata un vero e proprio concorrente per il cinema. Una sorta di apripista per quanto riguarda le serie tv degli anni successivi, il tutto senza poter contare su nomi altisonanti come faranno in seguito i vari titoli già citati. Da ricordare Keith Carradine nel ruolo di Wild Bill Hickok, mentre tra coloro che si segnaleranno anche in futuro va ricordato John Hawkes (in un ruolo comunque secondario), che sarà candidato alla statuetta per la sua interpretazione nel gioiellino "Un gelido inverno" di Debra Granik.
La seria creata da David Milch soffre del solito problema di tutti i lavori di questo tipo, ovvero quella frammentarietà di fondo che si esplicita in una moltitudine di personaggi, situazioni ed eventi. Probabilmente in "Deadwood" è un "peso" che grava anche in modo più lieve rispetto ad altri prodotti tv simili, ma una sceneggiatura a tratti zoppicante fa si che non si riesca a ben definire una storia conduttrice che muove i vari personaggi. Più che un discorso narrativo coerente emerge una proliferazione di microcosmi personali e situazioni tra loro spesso slegate. E' un vero e proprio spaccato di quel mondo e di quel tempo, forse un po' stereotipato ma apprezzabile e coraggioso come punto di vista.
"Deadwood" è un prodotto di nicchia, perchè il western è sempre di più un genere che poco attira le masse, sia al cinema, sia in televisione. Questa "non tendenza" del genere, unita a costi elevati, ha spinto la HBO a stoppare la produzione dopo le prime due stagioni, con una terza che è arrivata in seguito ma che rimane ancora inedita in Italia. Una serie televisiva ingiustamente passata sotto traccia, probabilmente perchè priva dell'appeal e della pubblicità delle serie odierne. Un affresco storico che intreccia realtà e finzione, per una prima stagione solidissima, priva di sbavature e allo stesso tempo senza la puntata "hit" capace di piazzare la zampata che rimane impressa. Ma al di là della qualità complessiva, "Deadwood" è un prodotto televisivo che andrebbe riscoperto anche solo per l'importanza e l'influenza che ha avuto su molti altri titoli successivi: innanzitutto l'istituzionalizzazione della violenza verso quel livello insito nelle attuali produzioni seriali. Prima che i cadaveri scomparissero nell'acido di Walter White, c'erano i maiali di Wu a eliminare la carne morta...
South Dakota, lontano anno del signore 1876. Little Bighorn e la disfatta di Custer è appena dietro l'angolo. A cento anni esatti dalla dichiarazione d'indipendeza, gli Stati Uniti sono ancora un groviglio di cittadine senza legge, indiani che massacrano di qua e di là, normative che faticano ad essere applicate. Uno stato che faticava ad essere accettato come tale. Deadwood è un piccolo microcosmo in costruzione, dove non c'è sceriffo, non ci sono leggi che tengano. In questa soffocante bolla di darwinismo del west vince il più forte e il più cinico. E' il solito vecchio "west" puzzolente di sporcizia, fango, whiskey, morte, puttane. Eppure non aspettatevi di vedere i grandi scenari e i paesaggi tipici del western d'annata: la stragrande maggioranza di tutti gli avvenimenti avviene in interni, tra le mura di legno di un saloon, un bordello o la semplice casa del dottore della cittadina. Dalla narrazione nelle grandi praterie, agli spazi angusti dei sotterfugi, tra l'oppio e l'alcool. Nel grande viaggio verso l'ovest e la "civilizzazione", l'America è nata anche così.
La prima stagione di questa serie, uscita ormai oltre un decennio fa (2004), ha avuto il grande merito di spostare l'asticella verso quella serialità altamente cinematografica che impera oggi in maniera profonda, diventata un vero e proprio concorrente per il cinema. Una sorta di apripista per quanto riguarda le serie tv degli anni successivi, il tutto senza poter contare su nomi altisonanti come faranno in seguito i vari titoli già citati. Da ricordare Keith Carradine nel ruolo di Wild Bill Hickok, mentre tra coloro che si segnaleranno anche in futuro va ricordato John Hawkes (in un ruolo comunque secondario), che sarà candidato alla statuetta per la sua interpretazione nel gioiellino "Un gelido inverno" di Debra Granik.
La seria creata da David Milch soffre del solito problema di tutti i lavori di questo tipo, ovvero quella frammentarietà di fondo che si esplicita in una moltitudine di personaggi, situazioni ed eventi. Probabilmente in "Deadwood" è un "peso" che grava anche in modo più lieve rispetto ad altri prodotti tv simili, ma una sceneggiatura a tratti zoppicante fa si che non si riesca a ben definire una storia conduttrice che muove i vari personaggi. Più che un discorso narrativo coerente emerge una proliferazione di microcosmi personali e situazioni tra loro spesso slegate. E' un vero e proprio spaccato di quel mondo e di quel tempo, forse un po' stereotipato ma apprezzabile e coraggioso come punto di vista.
"Deadwood" è un prodotto di nicchia, perchè il western è sempre di più un genere che poco attira le masse, sia al cinema, sia in televisione. Questa "non tendenza" del genere, unita a costi elevati, ha spinto la HBO a stoppare la produzione dopo le prime due stagioni, con una terza che è arrivata in seguito ma che rimane ancora inedita in Italia. Una serie televisiva ingiustamente passata sotto traccia, probabilmente perchè priva dell'appeal e della pubblicità delle serie odierne. Un affresco storico che intreccia realtà e finzione, per una prima stagione solidissima, priva di sbavature e allo stesso tempo senza la puntata "hit" capace di piazzare la zampata che rimane impressa. Ma al di là della qualità complessiva, "Deadwood" è un prodotto televisivo che andrebbe riscoperto anche solo per l'importanza e l'influenza che ha avuto su molti altri titoli successivi: innanzitutto l'istituzionalizzazione della violenza verso quel livello insito nelle attuali produzioni seriali. Prima che i cadaveri scomparissero nell'acido di Walter White, c'erano i maiali di Wu a eliminare la carne morta...
Carico i commenti... con calma