Il fango di "Deadwood", il deserto lisergico di "Breaking Bad" ed ora le paludi della Louisiana. Scenari fondanti e solo degli ultimi 10 anni. "True Detective" vive della sua perfetta commistione con la natura. Un ambiente che sa essere allo stesso tempo plumbeo e screpolato dai caldi colori del sud statunitense. Merito della fotografia allucinata di Alan Arkapaw, uno che aveva già lavorato al goiellino australiano "Animal Kingdom" di David Michod.
Sottolineati i pregi estetici della serie, ci sarebbe da chiedersi perchè "True Detective" sia diventato il nuovo fenomeno virale prima in patria e poi anche nel nostro stivale. Terminato il periodo dei cristalli blu e di Walter White, "True Detective" sembra essere il prodotto televisivo che più di tutti ha saputo continuare sulla scia tracciata da BB, di una qualità che non ha nulla da invidiare al cinema. Anzi, sembra che il cinema sia molto più indirizzato al riciclo, mentre le serie tv stanno esplorando storie borderline e quasi da "pubblico di nicchia". Ma in verità TD riprende a piene mani da un innumerevole numero di prodotti televisivi e cinematografici incentrati sulla coppia di detective, spesso agli antipodi, che indagano alla ricerca di improbabili killer seriali. L'impianto è quindi quello trito già esplorato migliaia di volte. Ma molte sono le scelte azzeccate che pongono TD come una delle più serie candidate a rivoluzionare la serialità.
Nel tentativo di donare all'intera serie un corpus registico ben definito, la regia viene affidata al solo Cary Joji Fukunaga. Ancor più che in "Breaking Bad" o "Boardwalk Empire", questa serie vive delle intuizioni registiche. Dal primo piano rivelatore, a campi totali che risaltano una natura opprimente, da scelte di regia sempre geometriche, a complessi e lunghissimi piani sequenza (vedere per credere la conclusione del quarto episodio). La sceneggiatura si mette al servizio della regia di Fukunaga e ne viene fuori un lavoro dai tratti marcatamente lenti, allucinato, asfissiante ed opprimente. Insomma una serie "acid". Ma TD poggia anche su un realismo essenziale che spiega anche quello che alcuni hanno visto come uno dei più grandi punti deboli del prodotto: l'apparente inconsistenza dell'elemento investigativo, con la ricostruzione del puzzle decisamente spezzettata e confusa. Ma quello che accade nella realtà è esattamente questo: quanti casi rimangono irrisolti? Quante volte si procede soltanto per supposizioni spesso anche errate? Quante volte si va avanti alla cieca? Il problema è che i vari CSI e tutte le molteplici crime series hanno lanciato l'idea secondo cui tutto è sempre risolvibile e sempre in un periodo incredibilmente breve. Tanto più che la storia non viene narrata cronologicamente, ma subisce continui sbalzi temporali ed omissioni. Merito della sapiente e complessa sceneggiatura di Nic Pizzolato.
"True Detective" è un'opera che prende a piene mani da autori quali i vecchi Hooper e Craven, Lynch, il Cronenberg dei primi duemila, ma che è anche immerso nelle atmosfere di Faulkner e nella natura mortale di Cormac McCarthy. Non solo: porta sullo schermo anche riflessioni di carattere puramente filosofico che rendono la visione a tratti ostica per chi non è avvezzo a certi ritmi dilatati. Filosofia esplicata nei due personaggi principali Marty e Rust. Il primo è interpretato da un ottimo Woody Harrelson, classico americano ormai realizzato, ben inserito nel suo lavoro, con una famiglia da mandare avanti. Ma la piega degli eventi lo porterà ad essere sempre più insicuro, ad accumulare tradimenti su tradimenti, fino all'inevitabile divorzio. La vita che aveva pazientemente costruito viene lentamente distrutta. Rust è invece interpretato da un monumentale Matthew McConaughey, mattatore assoluto della serie, capace di dare spessore ad un personaggio che biascica più che parlare e che è continuamente immerso nelle sue allucinazioni psicotiche, alcoliche, filosofiche. Un delirio d'uomo che va avanti unicamente per un'unico scopo: trovare l'assassino che continua ad uccidere in nome di imprecisati riti esoterici.
HBO è ormai sinonimo di qualità indiscussa. Negli anni hanno partorito "I Soprano", "Deadwood", "Boardwalk Empire", "Game of Thrones" e ora "True Detective". E questo solo per rimanere alle più amate. Senza voler dimenticare i capitoli bellici "Band of Brothers" e "The Pacific". Questo nuovo prodotto segna un punto di partenza nella storia delle moderne serie televisive: innalza l'asticella della qualità. Difficile ormai parlare in questi casi di prodotto televisivo o cinematografico. Inoltre, rimarrà l'interpretazione di un Matthew McConaughey che buca lo schermo come neanche Bryan Cranston era riuscito a fare (pur soffiandogli l'Emmy del 2014).
Una serie televisiva che attraverso l'elemento poliziesco/investigativo indaga la psicologia umana in modo minuzioso, collegando il tutto ad uno scenario drogato, esoterico e allucinato. Per quanto possa apparire discutibile una seconda stagione con attori diversi, il giudizio complessivo su queste otto puntate non può che essere decisamente positivo.
Sottolineati i pregi estetici della serie, ci sarebbe da chiedersi perchè "True Detective" sia diventato il nuovo fenomeno virale prima in patria e poi anche nel nostro stivale. Terminato il periodo dei cristalli blu e di Walter White, "True Detective" sembra essere il prodotto televisivo che più di tutti ha saputo continuare sulla scia tracciata da BB, di una qualità che non ha nulla da invidiare al cinema. Anzi, sembra che il cinema sia molto più indirizzato al riciclo, mentre le serie tv stanno esplorando storie borderline e quasi da "pubblico di nicchia". Ma in verità TD riprende a piene mani da un innumerevole numero di prodotti televisivi e cinematografici incentrati sulla coppia di detective, spesso agli antipodi, che indagano alla ricerca di improbabili killer seriali. L'impianto è quindi quello trito già esplorato migliaia di volte. Ma molte sono le scelte azzeccate che pongono TD come una delle più serie candidate a rivoluzionare la serialità.
Nel tentativo di donare all'intera serie un corpus registico ben definito, la regia viene affidata al solo Cary Joji Fukunaga. Ancor più che in "Breaking Bad" o "Boardwalk Empire", questa serie vive delle intuizioni registiche. Dal primo piano rivelatore, a campi totali che risaltano una natura opprimente, da scelte di regia sempre geometriche, a complessi e lunghissimi piani sequenza (vedere per credere la conclusione del quarto episodio). La sceneggiatura si mette al servizio della regia di Fukunaga e ne viene fuori un lavoro dai tratti marcatamente lenti, allucinato, asfissiante ed opprimente. Insomma una serie "acid". Ma TD poggia anche su un realismo essenziale che spiega anche quello che alcuni hanno visto come uno dei più grandi punti deboli del prodotto: l'apparente inconsistenza dell'elemento investigativo, con la ricostruzione del puzzle decisamente spezzettata e confusa. Ma quello che accade nella realtà è esattamente questo: quanti casi rimangono irrisolti? Quante volte si procede soltanto per supposizioni spesso anche errate? Quante volte si va avanti alla cieca? Il problema è che i vari CSI e tutte le molteplici crime series hanno lanciato l'idea secondo cui tutto è sempre risolvibile e sempre in un periodo incredibilmente breve. Tanto più che la storia non viene narrata cronologicamente, ma subisce continui sbalzi temporali ed omissioni. Merito della sapiente e complessa sceneggiatura di Nic Pizzolato.
"True Detective" è un'opera che prende a piene mani da autori quali i vecchi Hooper e Craven, Lynch, il Cronenberg dei primi duemila, ma che è anche immerso nelle atmosfere di Faulkner e nella natura mortale di Cormac McCarthy. Non solo: porta sullo schermo anche riflessioni di carattere puramente filosofico che rendono la visione a tratti ostica per chi non è avvezzo a certi ritmi dilatati. Filosofia esplicata nei due personaggi principali Marty e Rust. Il primo è interpretato da un ottimo Woody Harrelson, classico americano ormai realizzato, ben inserito nel suo lavoro, con una famiglia da mandare avanti. Ma la piega degli eventi lo porterà ad essere sempre più insicuro, ad accumulare tradimenti su tradimenti, fino all'inevitabile divorzio. La vita che aveva pazientemente costruito viene lentamente distrutta. Rust è invece interpretato da un monumentale Matthew McConaughey, mattatore assoluto della serie, capace di dare spessore ad un personaggio che biascica più che parlare e che è continuamente immerso nelle sue allucinazioni psicotiche, alcoliche, filosofiche. Un delirio d'uomo che va avanti unicamente per un'unico scopo: trovare l'assassino che continua ad uccidere in nome di imprecisati riti esoterici.
HBO è ormai sinonimo di qualità indiscussa. Negli anni hanno partorito "I Soprano", "Deadwood", "Boardwalk Empire", "Game of Thrones" e ora "True Detective". E questo solo per rimanere alle più amate. Senza voler dimenticare i capitoli bellici "Band of Brothers" e "The Pacific". Questo nuovo prodotto segna un punto di partenza nella storia delle moderne serie televisive: innalza l'asticella della qualità. Difficile ormai parlare in questi casi di prodotto televisivo o cinematografico. Inoltre, rimarrà l'interpretazione di un Matthew McConaughey che buca lo schermo come neanche Bryan Cranston era riuscito a fare (pur soffiandogli l'Emmy del 2014).
Una serie televisiva che attraverso l'elemento poliziesco/investigativo indaga la psicologia umana in modo minuzioso, collegando il tutto ad uno scenario drogato, esoterico e allucinato. Per quanto possa apparire discutibile una seconda stagione con attori diversi, il giudizio complessivo su queste otto puntate non può che essere decisamente positivo.
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