Avviso: in questa rece divago un po’, quindi se siete interessati al succo saltate pure subito i primi due paragrafi e cominciate a leggere direttamente dal terzo, per il resto in ogni caso e a prescindere sconsiglio fortemente a chiunque di proseguire nella lettura.
Benché da sbarbatello (anche se a dire il vero pure oggi il manto villoso che dovrebbe oramai ricoprire le mie ormai mature e virili guance si presenta piuttosto timidamente e a chiazze... saranno problemi ormonali? ma vabbé, non divaghiamo...) fossi per certi versi fissato con film e libri a tema bellico (mi piacerebbe poter dire che fosse solo per il senso del sublime romantico l’orrendo che affascina, che la guerra é in grado di evocare, ma purtroppo nella mia giovane ignoranza non mancava anche quello stupido fascino epico ed eroico che il conflitto puó esercitare sulle menti facilmente impressionabili e malleabili), mi sono, col crescere dell’etá e della consapevolezza, sempre piú allontanato dal genere, lodevoli eccezioni a parte, ma si trattava in questi ultimi casi spesso di film in cui la guerra era piú un pretesto per parlare di altro. Anche film o serie che avevano riscosso molto successo come "Salvate il soldato Ryan“ oppure "Band of Brothers“ e "The Pacific“ non mi avevano appassionato, né convinto al 100%. Certo la guerra veniva mostrata in maniera piú brutale e cruda, ma rimaneva sempre una certa retorica di fondo, la guerra veniva presentata forse senza troppi abbellimenti, ma presentato come qualcosa che alla fine era giusto, insomma "uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo e se si muore in ogni caso parenti e amici possono sempre consolarsi con la medaglia al valore e l’orgoglio che il loro figlio e morto combattendo per il proprio paese e la democrazia che noi siamo i crociati americani guidati da Dio e amazziamo i cattivi giapponesi/nazisti/comunisti e se magari c’é qualche mela marcia tra di noi si tratta pur sempre di episodi isolati perché noi siamo er mejo.“ Ma d’altronde da un regista per il grande pubblico come Spielberg, tra l’altro certamente non noto per la parsimonia con cui inserisce la retorica nei propri film non si poteva aspettare molto altro e va detto che il livello medio era comunque abbastanza alto.
Invece questo "Generation Kill", pubblicato tanto per cambiare dalla mai troppo lodata HBO e con la collaborazione dei creatori di The Wire (ok, c’entra anche un giornalista di Rolling Stones, ma a quanto pare anche loro ogni tanto tirano fuori qualcosa di decente), si é rivelata davvero una piccola perla nel genere. Trattasi di una miniserie di 7 episodi, ciascuno di un’oretta circa, che si basa sull’omonimo libro/report di tale Ewan Wright, che seguí di persona un battaglione di marines impegnato in lavori di ricognizione, dalla partenza delle operazioni dal Kuwait, fino al loro arrivo a Baghdad. L’obiettivo primario a detta dei programmatori era ottenere la massima verosimiglianza, quasi una sorta di documentario, motivo per il quale sono stati coinvolti nella realizzazione anche marines che all’epoca parteciparono al conflitto, obiettivo che sembra essere stato raggiunto date le molte lodi che sono state sprecate a riguardo.
Per quanto possa dirne io da persona che fortunatamente é sempre stata esterna a certi avvenimenti lo stile é sembrato in ogni caso molto piú asciutto e ed essenziale rispetto a molti film del genere, gli scontri sono limitati e mai epici, ci viene mostrata innanzitutto la vita dei soldati, fatta soprattuto di momenti morti e parecchia noia, la retorica é prossima allo zero e non assistiamo a nessuna glorificazione delle forze armate, che spesso vengono anzi mostrate in modo non troppo lusinghiero (tanto che non mancarono in America anche parecchie critiche a riguardo del fatto che l’esercito venisse mostrato come troppo incompetente e non glorificato come al solito), sopratutto per quanto riguarda gli alti ranghi, ma non si scade per fortuna nenache nel cliché opposto del soldato=stronzo psicopatico e/o macchina per uccidere, ma i marines vengono descritti come ragazzi/giovani uomini perlopiú normali, magari un po’ ingenui ed ignoranti. Anche il nemico non é piú solamente un bersaglio senz’anima da uccidere, sebbene ovviamente il punto di vista descritto sia pur sempre quello degli Yankee, ma in generale viene dato anche un certo spazio al popolo Iracheno che viene perlopiú rappresentato come vittima degli eventi e non come un popolo di fantatici terroristi retrogradi.
Per quanto qui su DeBaser questa serie non sará di certo destinata a scatenare le polemiche come in madrepatria, e nemmeno ad illuminare qualcuno sulla via di Damasco, in quanto immagino che il DeBaseriano medio vedrá qui solo riconfermate le proprie impressioni (magari ritenendo il tutto persino troppo moderato e di parte), posso solo consigliare quest’ennesimo centro della HBO, che comunque offre un verosimile punto di vista su un evento della nostra storia recente e riesce al contempo ad intrattenere in maniera egregia, complice anche una discreta dose di umorismo che attraversa il tutto (che puó magari sembrare a prima vista fuori luogo o irrispettoso, ma personalmente non l’ho reputato come tale, ma che anzi ribadisce la tragicomicitá e l’irrazionalitá che spesso caratterizza la guerra), come il soldato che si giustifica per aver amazzato per sbaglio dei cammelli, dicendo che in reltá aveva mirato a delle persone. Insomma, non vi dico di guardarvi tutta la serie in due giornate come ho fatto io, ma qualora aveste un po’ di tempo (e come giá detto, poiché sono solo sette episodi non ne serve neanche troppo), date un’occhiata e sono abbastanza sicuro che potrebbe essere di vostro gradimento.
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