C'è bisogno di ribadirlo per l'ennesima volta? Ribadiamolo, allora. Quel mega-calderone chiamato "metal", dove, come già ripetuto un'infinità di altre volte, c'è tutto e il contrario di tutto, è spesso di quanto meno meritocratico ci possa essere. Gruppi ultrapompati dalla stampa speciallizata, e che fanno bella mostra di sé nei vari festival, spesso si rivelano essere delle mezze delusioni, tanto bravi in studio, chissà come mai, e poi degli autentici flop dal vivo, mentre un'infinità di formazioni valide restano nell'ombra, appannaggio di pochi curiosi interessati.    

Tra questi eterni perdenti non si può non includere anche gli Heavens Gate, gruppo tedesco autore di diversi dischi durante gli anni Novanta, grande promessa sulla quale è poi calato il silenzio più totale. Fautore di un heavy/speed molto tecnico ma al contempo di gran presa, il gruppo mosse i primi passi già nella Germania di inizio anni Ottanta, quando ancora si chiamava Steeltower, arrivando però alle prime incisioni e alla denominazione definitiva solo sul finire del decennio, riuscendo in un primo momento anche a riscuotere un discreto successo commerciale, soprattutto nella terra del Sol Levante. Se negli anni Novanta quella miscela di heavy metal e melodia che sarebbe stata il power metal poté raggiungere un consenso di critica e pubblico invidiabile lo si dovette anche a loro, oltre che, naturalmente, a nomi più noti e blasonati come Rage, i nuovi Helloween, Gamma Ray e Blind Guardian.                

Non conoscendo la storia del gruppo ad un ascolto frettoloso un disco come "Livin' in Hysteria" potrebbe sembrare l'ennesimo parto degli ennesimi clone degli Helloween, ma in realtà si tratta di un lavoro molto personale, ben curato e dall'elevata caratura. Nonostante la giovane età dei singoli membri, tutti sulla ventina, ognuno ai tempi già mostrava notevoli doti, che si sarebbero rivelate poi fondamentali per il tipo di musica proposto. Se "Livin' in Hysteria", "Neverending Fire" e "Flashes" presentano tutti gli stilemi del power metal più classico ed "europeo", brani come "Best Days of my Life" mettono in luce anche un approccio più malinconico e riflessivo, mostrando quindi un ensemble dedito non solo alla velocità ma capace di esprimersi al meglio anche in passaggi più cadenzati. Va inoltre detto che, per quanto riguarda lo stile dei cinque, siamo comunque distanti anni luce da un certo power metal che verrà anni dopo: sicuramente la voce di Rettke è alta e squillante, ma riesce ad essere estremamente varia e a sapersi esprimere su più registri, così come la batteria non è certo quella batteria-elicottero che caratterizzerà molti dischi power in futuro. Le chitarre si scambiano gli assoli, nello stile più classico, ma siamo lontani da certi virtuosisimi fini a loro stessi, così come la produzione riesce a valorizzare i singoli componenti riuscendo a donare al tutto un suono caldo e avvolgente, per fortuna non paragonabile ai suoni plastificati che si sentono al giorno d'oggi. L'idea quindi che si ricava dall'ascolto del disco è quella di un gruppo sì giovane ma già con una forte identità, maturo e che riesce a rendere su disco perfettamente le proprie intuizioni, senza scadere in cliché o in barocchismi pacchiani, proponendosi con un lavoro complesso ma al tempo spesso estremamente godibile.

A conti fatti molti degli aspetti di questo album e del gruppo in generale hanno del paradossale: "Livin' in Hysteria", che seguiva il debuto di due anni prima, uscì in un periodo in cui il metal più classico, che tanto aveva furoreggiato nel decennio precedente, è ormai boccheggiante, con borchie e chiodi destinati ad andare in soffita per fare spazio alla flanella del grunge, in fin dei conti una mera rivisitazione in chiave forse più nichilista di quello che era stato l'hard rock di vent'anni prima. Un disco nato fuori tempo massimo, quindi? Non proprio, se si pensa che, paradossalmente, mentre il metal dei grandi numeri affrontava anni di vacche magre, proprio il power metal, il sottogenere che da sempre è stato l'esasperazione di tutti gli stilemi dell'heavy più classico e ortodosso, avrebbe raggiunto forse il suo apice, con i vari Blind Guardian, Rage e Running Wild, come detto prima, a contendersi le posizioni più alte di festival e tour. Gli Heavens Gate in tutto ciò ebbero il loro periodo d'oro, ma il fatto che oggigiorno sia così difficile reperire informazioni dettagliate su di loro fa capire, almeno in parte, come il gruppo non abbia forse mai goduto di quell'esposizione mediatica che avrebbe meritato.

In coda va però anche detto che, finita l'avventura Heavens Gate, alcuni dei musicisti che avevano fatto parte o che comunque erano gravitati nell'orbita del gruppo si sarebbe tolti delle belle soddisfazioni, con Miro ed il chitarrista storico, Sasha Paeth, che sarebbero divenuti alcuni tra i  turnisti e produttori più richiesti del genere, con in curriculum collaborazioni con Rhapsody, Luca Turilli, Kamelot e Avantasia, mentre dei restanti membri si sono praticamente perse le tracce. Anche in questo caso il commento conclusivo non può che essere quello espresso anche in altre occasioni: bravi, capaci e con molta poca fortuna

Heavens Gate:Thomas Rettke – voceSascha Paeth – chitarraBonny Bilski – chitarraManni Jordan – bassoThorsten Müller – batteriaMiro - piano su "The Best Days of My Life"
"Livin' in Hysteria":"Livin` in Hysteria"  "We Got the Time"   "The Neverending Fire"   "Empty Way to Nowhere"  "Fredless"  "Can`t Stop Rockin`"  "Flashes"   "Best Days of My Life" "We Want It All"  "Gate of Heaven"  
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