Vi sono situazioni che riflettono in modo obliquo lo sguardo, strutturate in modo tale per cui approcci opposti danno luogo a confusioni simili. C'è chi, tentando di descrivere un qualche disco - diciamo questo - parterebbe subito con l'affondare la mano nella confezione famiglia di trattini tipografici, e con sicumera procederebbe al loro utilizzo come collante lessicale, sfornando vomitevoli ammassi inorganici come indieprog-postpunk. Altri si adoprerebbero a trasmettere le proprie impressioni attraverso l'esemplificazione per paragoni: sembra di sentiere quelli lì che se la fanno con quegli altri là. Acquisita, senza troppe difficoltà, la cognizione che entrambe le scelte sono esteticamente e moralmente degradanti, resta solo da constatare che - in un modo o nell'altro - di qualcosa di dovrà pur parlare.
I Verdura Pesante sono (erano) californiani. Questo non spiega assolutamente nulla, e sono quasi sicuro che, se avevate il mal di pancia, ce l'avete ancora. Devo continuare? State leggendo? Che fessi, dio mio. E l'acido non mi è ancora salito del tutto. Fondato da un tizio, il cui nome ve lo potete benissimo andare a cercare sull'internet, il complesso in questione è notevole per l'utilizzo abbastanza sbarazzino di tempi dispari o comunque molto difficili da seguire (per la gioia dei saputi pisciallungo). Ciò, sia chiaro, non va a discapito della generica sensazione di 'groove' - termine quest'ultimo da intendersi nella sua accezione più morbosa: lo so che vi piace tirarvi le seghe con i Polvo, vizioselli. Sulla scala del deperimento etico, stiamo solo un pelo sopra alla pedopornogastronomia, siate avvertiti.
In ogni caso, non stupisce che il tipo fosse (sia) fissato con i grandi freak della musica sperimentale, integrati in modo bizzarro in una weltanschaaung musicale che ha qualche debito nei confronti del punk. Del Punk, diciamo, i nostri amici sole-arance-sabbia-surf-trombe-d'aria hanno ereditato, se non la vera e propria attitudine estetica (il che probabilmente avrebbe impedito loro di conoscere più di 4 accordi a testa), di sicuro la passione per le canzoni corte. Tanto per fare un esempio, il brano "intro" è il nono del disco. Prima di questo abbiamo una mitragliata frenetica di brani poco inferiori o poco superiori al minuto. La cosa non mi dispiace: una volta che hai sentito una strofa, un bridge e un ritornello, che te ne importa di risentirli altre tre volte? Non vorrete venirmi a dire che vi interessano i testi. Non ci credo: leggete i testi mentre ascoltate i dischi. Ossignore, adesso viene fuori che siete tutte femmine e sotto i sedici anni. Ci risentiamo quando siete in età legale, uhm?
C'è, in effetti, una sola canzone che supera il minuto e mezzo di più di un minuto e mezzo, anzi, di altre due volte un minuto e mezzo. Insomma, il brano finale è una piccola concessione a chi malsopporta l'equivalente musicale di una eiaculazione precoce. Stilisticamente, c'è da dirlo, non si discosta dall'impronta segnata dal resto dell'album. Ritmi curiosi, incespicanti, doppio cantato bello asciutto e - per l'amor del cielo - felicemente privo di quel trasporto autocompiaciuto che mi fa detestare tre quarti dei cantanti su questo dannato pianeta. Vi sono poi basso e chitarra che si inseriscono con mirabile precisione nella struttura compositiva e sviluppano ulteriormente il discorso ritmico, tralasciando in parte la funzione melodica (c'è davvero gente capace di prendere sul serio una frase del genere?).
In pratica, sembrano gli Slint un po' più di buon umore. Certa critica sostiene che altra certa critica sostenesse che vi sono, negli Heavy Vegetable, similitudini con altri complessi come Guided by Voices e Archers of Loaf. Ora che ne sapete di più, fatemi il favore di spedirmi del denaro.
Insomma, per lo meno dovete riconoscermi che - nel recensire un disco come questo - nove su dieci avrebbero scritto la parola "indie" nelle prime tre righe. E invece io no, ecco. Uhmmm. Senza ingoio, grazie.
Carico i commenti... con calma