Tre ore.

Solo tre ore in un appartamento color ruggine della Bonn post-bellica, un ginocchio gonfio, una bottiglia di cognac in frigo, un telefono in grembo da cui sentire l'odore di chi sta dall'altro capo del filo, una moneta da un marco - l'ultima - lasciata cadere giù dalla finestra del quinto piano.

Malinconia e mal di testa.

Solo tre ore per lasciare che il trucco bianco ormai secco cada dalla faccia di Hans, clown ventottenne in declino che ha ormai raggiunto il fondo del baratro, che si era reso colpevole della più grave colpa per un clown: suscitare pietà. E non resta altro che l'Uomo.

E un nome che riecheggia: Maria... Maria... Maria...

Maria, moglie di Hans senza esserne moglie. Maria la cattolica, consunta dagli aborti spontanei, divorata continuamente dai sensi di colpa instillati da una vita "nel peccato". Maria l'adultera, che lascia Hans per sposare un membro di spicco dell'ipocrisia cattolica tedesca, per vivere finalmente nella pietà prescritta.

Puttana.

Solitudine. Totale solitudine, nonostante il palcoscenico dei ricordi di Hans pulluli di personaggi, una sfilata di falsità nell'opprimente aria di Bonn: alto-borghesi dabbene, nazisti rinnegati, membri di circoli cattolici soffocanti, protestanti convertiti. Nient'altro che figure negative, maschere d'incoerenza.

Tre ore.

Tre ore per uscire dall'appartamento color ruggine, andare in stazione per tirare su qualche spicciolo suonando le litanie lauretane alla chitarra, dietro un cappello alla Chaplin contenente l'ultima sigaretta. Lo spettacolo deve continuare.

Ancora qualche minuto per rivestirsi, mettere il pullover azzurro, spremere il vasetto ormai secco della biacca bianca, passarsela sul viso con cura, finire di truccarsi, mettere da parte l'Uomo e ritornare clown.

L'abito professionale è la corazza migliore che esista, vulnerabili sono soltanto i santi o i dilettanti. Mi ritrassi dallo specchio, mi ritrassi profondamente in me stesso e nello stesso tempo mi staccai. 

Neanche la ginnastica facciale serve più, gli occhi sono già vuoti, inespressivi. Sono quelli di un suicida.

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