E’ un sole tiepido, quello che illumina “Bless This Morning Year”.
E sei subito immerso nella luce tersa di Eingya.
E’ risacca capovolta nel cristallino suono di chitarre, “Halving The Compass”: un altro acquarello accennato su un foglio leggero. Trasparenze di un respiro disteso.
Lo sciabordio continua, sotto le impalpabili trame di corde essenziali, in “Dragonfly Across An Ancient Sky”, che digrada in un’arrendevole scia.

Scia che si fa densa e distesa, frequenze di un suono, breve corridoio vaporoso, in “Vargtimme.”
E scivoli nello spazio dilatato: attesa e contemplazione. Un crescendo sottile, ma solo suggerito e immaginato, mentre “For Years And Years” prende forma per svanire poi come una bolla di sapone davanti ai tuoi occhi.
Sembra voler svanire, nel piccolo buco nero che si apre nel cuore del brano, anche la limpida circolarità delle note di un pianoforte che ti accoglie in “Coast Off”. Ma riemerge, intrecciata agli arpeggi di una chitarra acustica, per condurti al lieve straniamento che produce quella voce: un salmodiare singhiozzante prima che altre voci, coro senza parole emerso dall’ombra, vengano inghiottite nell’orizzonte che sfuma.

Le 11 tracce che compongono “Eingya”, il disco rilasciato qualche mese fa da Keith Kenniff (questa l’identità del musicista americano celata dal moniker), percorrono un orizzonte sonoro di morbidezza e sospensione, delineato dall’incontro delle liquide e circolari movenze del pianoforte con cristalline vibrazioni di chitarre acustiche e avvolgenti manti elettronici.
Un ottimo esempio della declinazione di attitudine ambient sposata ad una vocazione descrittiva, in grado di evocare, con misurato incedere, stilizzate rappresentazioni: quasi proponendo immagini per brevi narrazioni di impercettibili spostamenti degli stati d’animo.
La materia che le informa vive di sottili contrasti tra l’astrattezza e la liricità, tra la delicata concretezza di battiti e strumenti acustici e la sostanza elettronica, fluida o frusciante.
Musica discreta ma intima, rarefatta ma stratificata, “minima” ma capace di suggerire vastità. Come quelle di una vista aerea: non troppo vicina al sole, non troppo distante dal suolo.

E’ un sole tiepido quello che scalda “Eingya”.
La sua luce è tersa.
L’ascolto stabilisce la distanza sufficiente dal frastuono per sentire quanti semplici, piacevoli dettagli sono custoditi tra le pieghe dei suoni.
Se a volte vi accade di desiderare quella distanza, il disco può fare al caso vostro.

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