Mark Shelton ce l'ha fatta ancora.
Anche dopo 40 anni nel panorama musicale, o meglio nell'underground, nonostante i suoi 60 anni, "The Shark" non sembra intenzionato a cedere il passo, a smettere di macinare idee su idee.
Una vita intera dedicata alla musica, con una passione che in pochi possono eguagliare, Mark Shelton ha sempre proseguito la sua carriera con i Manilla Road, gruppo fra i principali esponenti del genere Epic, senza mai pensare a come incrementare la popolarità, alle mode musicali del momento, senza cedere neanche un passo. Molti potrebbero etichettare questa scelta come una mossa sbagliata, un errore che ha avuto come conseguenza una scarsissima fama nel genere, ma personalmente, questa è solo la dimostrazione di aver una passione e di crederci fino in fondo senza arrendersi, cosa che in pochi ancora sono capaci. 40 anni senza mai una pausa.
Oltre ai Manilla Road però, Mark Shelton ebbe anche numerosi progetti paralleli, il più famoso i Circus Maximus, fondato da lui stesso dopo il primo scioglimento dei Road dopo l'uscita di "The Courts Of Chaos" (1990), che pubblicarono il loro debutto omonimo nel 92', pubblicato però a nome Manilla Road dalla casa discografica a totale insaputa di Shelton, pensando che si sarebbe potuto incrementare il numero di vendite con il nome della vecchia band. Da citare anche i Riddlemaster e i The Shark, entrambi fondati negli anni 90' in attesa che il batterista Randy Fox e il bassista Scott Park risolvessero i dissidi interni che avevano fatto sciogliere i Manilla Road
In concomitanza però con questi ultimi, Shelton diede vita nel 2010 agli Hellwell, ennessima band secondaria che si distingueva dalle altre per sonorità più Doom, e con passaggi musicali volutamente progressive. Nel 2011 esordirono ufficialmente con "Beyond The Boundarie Of Sin", album che faceva dell'uso di tastiere, passaggi tipici della NWOBHM, e tematiche horror il suo punto di forza.
A distanza di 6 anni, esce "Behind The Demon's Eyes", lavoro non indifferente per i fan del genere e dei Manilla Road in generale, visto il "ritorno", se così vogliamo chiamarlo, alle sonorità di "Out Of The Abyss" (1988), album dei Manilla Road che attirò non poche critiche per il quasi totale cambiamento del sound, da un Heavy Metal classico a un Thrash Metal più marcato.
Queste sonorità si possono sentire nel pezzo d'apertura "Lightwave", dove Mark arriva a tonalità vocali vicine al growl, e con un lavoro di batteria da parte di Randy Fox assolutamente ineccepibile. Si hanno anche richiami al sound anni 80' dei Manilla Road in "The Galaxy Being", che sembra essere uscita da "Mystification" (1987), ma che però non riesce a ritagliarsi lo spazio adatto, vista la pessima produzione che copre tutto il lavoro. Tutto il disco rimane incentrato, come nel suo predecessore, su racconti dell'orrore e sul sovrannaturale, come in"It's Alive", dove si narra il processo che permise al mostro di Frannkestein di prendere vita. Menzione a parte va per "To Serve A Man", pezzo che sfiora i 17 minuti, caratterizzato da frequenti cambi di tempo, accelerazioni improvvise e stacchi con organi, in modo molto simile a come fu fatto su "Blood Eagle" dei Manilla Road, un fantastico lavoro di basso e un assolo finale di Shelton da far venire i brividi. Probabilmente sarò apparso come troppo entusiasta in questa ultima parte, ma se ascoltata attentamente potrebbe darvi le stesse identiche sensazioni.
"Behind The Demon's Eyes" non è un assolutamente un lavoro assimilabile al primo ascolto, decisamente ostico in alcuni passagi, e che potrebbe stupire coloro che sono dediti all' Epic più tradizionale. Come già riportato, la produzione non aiuta molto nel processo di ascolto, anzi, a volte lo ostacola e potrebbe esserci il bisogno di ripetere lo stesso passaggio più volte, ma una volta capito, questo disco potrebbe sorprendere per la varietà di stili che contiene, come ha fatto con il sottoscritto.
A detta di chi scrive, uno dei migliori dischi Epic del 2017.
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