Alzi la mano chi se li ricorda, parte 2.

Ai più il nome degli Helstar, per forza di cose, non dirà assolutamente nulla ma esiste uno sparuto gruppetto di fan-atici che li venera a mo' di divinità. Va bene, non esageriamo, divinità no, ma che li tiene più che in considerazione direi proprio di si.

Chi sono? Formatisi nel lontanissimo 1982 in Texas, i Nostri si sono da sempre contraddistinti per un potente heavy metal, dai ritmi sostenuti e con i due chitarristi che si scambiano assoli a profusione, il tutto accompagnato dalla riconoscibile voce di James Rivera, autentico prezzemolino delle scena metal americana. Insieme a gente come Jag Panzer, fanno parte di quella schiera di gruppi che, per mille motivi, avrebbe meritato assai più di quanto effettivamente raccolto ma alla fine ci si può accontentare anche così. Ricordati per album oggi considerati dei piccoli classici del genere come "Remnants of War" e "Burning Star", i texani, come vuole la tradizione, dopo aver trascorsi gli anni Ottanta a livelli discreti, spariscono dalla circolazione appena "Nevermind" esce nei negozi, senza mai sciogliersi ma continuando la propria attività con un profilo che definire basso sarebbe un complimento.

A metà dello scorso decennio, dopo che il buon Rivera ha di fatto prestato le proprie corde vocali alla causa di praticamente qualsiasi formazione heavy nordamericana, si riesce, miracolosamente, a rimettere in piedi buona parte del gruppo storico, per la gioia dei vari appassionati di festival metal greci e tedeschi. Dopo "Sins of the Past", antologia risuonata buona come rodaggio, esce nei negozi questo "The King of Hell" e, sorpresa, è meglio di quanto ci si potesse aspettare. Non un capolavoro, sia chiaro, ma un onesto album di heavy metal classico, ottimamente suonato e con una produzione, una volta tanto, all'altezza.

Se la copertina è di quanto più tamarro possa esserci, e quindi per un genere come il metal va benissimo, il disco non tradisce le attese, mostrando dei musicisti che, nonostante i molti anni di stop semi-forzato, hanno ancora varie frecce al proprio arco. Nessuno si aspetti innovazioni o cambi di rotta, qui si riprende il discorso da dove lo si era interrotto diciotto anni prima e di fatti gli elementi sono gli stessi, ovvero quelli che, ai tempi d'oro, furono insegnati dai maestri Judas Priest: acuti, assoli a profusione, doppia cassa a go-go. I testi non sono troppo importanti, diciamoci la verità, e fa un po' sorridere che dei cinquantenni stiano ancora  a mettere improbabili mostri in copertina ma il genere questo vuole quindi inutile lamentarsi.

Il robusto heavy degli Helstar funziona ancora alla grande, quasi come se grunge, nu-metal e qualsiasi cosa che finisce con "core" non fossero mai esistiti: il brano che da il titolo all'album è una mazzata, sempre in bilico tra heavy e thrash, e "The Plague Called Man" conferma le impressioni iniziali. Il disco soffre un po' di alti e bassi, i brani non sempre sono a fuoco, ma i momenti degni di nota, per fortuna, non si limitano al solo lato A: "Caress of the Dead" merita, così come "Pain Will Be Thy Name", caratterizzata da un aggressivo falsetto, e la conclusiva "Garden of Temptation", che sfiora i nove minuti di durata. Che dire? Un gradito ritorno che ha, di fatto, segnato l'inizio di una seconda giovinezza per i cinque texani, da quel momento tornati definitivamente in attività, sia in studio che dal vivo, e ormai, tra festival e date proprie, divenuti frequentatori abituali anche del nostro Paese. Un gradino sotto i classici del passato, ma è un piacere notare come, ogni tanto, ci siano reunion con davvero qualcosa da dire. La Stella Infernale del Texas brilla ancora alta nel cielo. 

 "The King of Hell": 1. The King of Hell 2. The Plague Called Man 3. Tormentor4. When Empires Fall 5. Wicked Disposition 6. Caress of the Dead7. Pain Will Be Thy Name 8. In My Darkness 9. The Garden of Temptation
Helstar:James Rivera, voceLarry Barrigan, chitarreRob Trevino, chitarreJerry Abarca, bassoRussel DeLeon, batteria
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