Nel 1998 Tony Kaye aveva imposto il proprio nome all'attenzione della critica cinematografica con il discusso "American history X". Una pellicola (la prima per Kaye), che affrontava il "revanscismo" dell'ideologia nazista nell'America degli anni a cavallo del nuovo millennio. Opera dura, coraggiosa, retorica il giusto, dove un ottimo Edward Norton prestava il volto al protagonista Derek.Temi, scelte formali e atmosfera hanno fatto di questo lungometraggio uno dei più riusciti nell'affrontare il lascito "culturale" nazista negli USA del meltin' pot e della multietnicità. All'interno di questo filone, ma con coordinate parzialmente differenti, si inscrive anche "The believer", diretto da Henry Bean e apparso al cinema nel 2001.
Un giovane Ryan Gosling interpreta Danny Balint, figura ripresa direttamente da quel Dan Burros che fu esponente dell'American Nazi Party, nonchè membro del Ku Klux Klan. Il personaggio di Burros viene quì ripreso nelle sue contraddizioni, mentre la vicenda filmica si discosta dalla sua vita. Quindi non un biopic sulla sua figura, che invece viene utilizzata solo come punto di partenza.
Danny è un neo-naziskin, sebbene le sue origini siano ebraiche. La sua personalità è scissa nelle due contraddizioni, che sono, inevitabilmente, l'una contrapposta all'altra. Egli conosce la tradizione ebraica, legge e studia la Torah, ma allo stesso tempo si rifiuta di far suoi quegli insegnamenti. I flashback che ci riportano al passato durante il suo apprendimento religioso ci mostrano già la formazione di una personalità critica nei confronti della sua cultura di appartenenza. La crescita porta Danny a distaccarsi da quella visione, per abbracciare, sia pure in modo non del tutto totalitario, le idee razziali insite nell'ideologia nazionalsocialista. Proprio per la sua conoscenza del "sottobosco" culturale ebraico e la sua capacità oratoria, Danny diviene esponente e membro rispettato di una nuova formazione "borghese" di carattere neo-nazista.
La particolarà del film di Bean (sua prima opera), sta nell'aver inserito il "duello" ideologico non tanto come scontro tra il protagonista e la realtà esterna, quanto come un conflitto interiore. Una piega che si manifesta soprattutto nella seconda parte della pellicola, per mostrarsi poi in un finale che vuole essere drammatico e definitivo, ma che purtroppo era già stato "telefonato" dal regista proprio nel "cambio" di percorso che si verifica a metà opera. Bean circonda Danny di una serie di personaggi che hanno addosso tutti i clichè tipici del neo-nazismo, vissuto più come moda che come reale coinvolgimento nelle sue coordinate politiche. Gli amici di Danny non sanno neanche contro cosa combattono, ma sono soltanto legati a degli stereotipi. In questo mondo pieno di incertezze, dove è labile il confine tra le cose, Danny interiorizza il dramma del suo popolo, finendo per accumulare la contraddizione della sua posizione. E' insieme ebreo e nazista, incapace di rigettare l'una e l'altra metà del suo essere. E' questo l'aspetto più riuscito e intrigante dell'opera di Henry Bean, che per il resto paga una regia eccessivamente schematica, quasi documentaristica per gran parte della durata del film. Chiari anche i riferimenti ad "American history X", già citato in apertura: la scelta dell'alternanza del bianco e nero (quì in verità meno presente), nonchè determinate sequenze esplicative dell'ideologia del protagonista. In questo senso la sequenza dell'intervista nel bar, rimanda alla scena in cui un Norton "imbarbarito" dal suo credo espone le sue posizioni contro un ebreo.
"The believer" è un film coraggioso, che indaga un mondo su cui soprattutto negli ultimi anni si sono illuminate le luci della ribalta. Lo scenario neo-nazista mondiale è ormai evidente e si manifesta tutt'oggi anche in alcune formazioni partitiche europee. Bean si sofferma soprattutto sull'aspetto religioso e da metà pellicola in poi decide di abbracciare una visione più poetica e interiore che fa perdere parte della genuinità del suo intento originario. Questo rende retorico e ridondante un lavoro che si capisce non avere una definizione tematica precisa, a causa anche di una sceneggiatura eccessivamente balbettante.
Un giovane Ryan Gosling interpreta Danny Balint, figura ripresa direttamente da quel Dan Burros che fu esponente dell'American Nazi Party, nonchè membro del Ku Klux Klan. Il personaggio di Burros viene quì ripreso nelle sue contraddizioni, mentre la vicenda filmica si discosta dalla sua vita. Quindi non un biopic sulla sua figura, che invece viene utilizzata solo come punto di partenza.
Danny è un neo-naziskin, sebbene le sue origini siano ebraiche. La sua personalità è scissa nelle due contraddizioni, che sono, inevitabilmente, l'una contrapposta all'altra. Egli conosce la tradizione ebraica, legge e studia la Torah, ma allo stesso tempo si rifiuta di far suoi quegli insegnamenti. I flashback che ci riportano al passato durante il suo apprendimento religioso ci mostrano già la formazione di una personalità critica nei confronti della sua cultura di appartenenza. La crescita porta Danny a distaccarsi da quella visione, per abbracciare, sia pure in modo non del tutto totalitario, le idee razziali insite nell'ideologia nazionalsocialista. Proprio per la sua conoscenza del "sottobosco" culturale ebraico e la sua capacità oratoria, Danny diviene esponente e membro rispettato di una nuova formazione "borghese" di carattere neo-nazista.
La particolarà del film di Bean (sua prima opera), sta nell'aver inserito il "duello" ideologico non tanto come scontro tra il protagonista e la realtà esterna, quanto come un conflitto interiore. Una piega che si manifesta soprattutto nella seconda parte della pellicola, per mostrarsi poi in un finale che vuole essere drammatico e definitivo, ma che purtroppo era già stato "telefonato" dal regista proprio nel "cambio" di percorso che si verifica a metà opera. Bean circonda Danny di una serie di personaggi che hanno addosso tutti i clichè tipici del neo-nazismo, vissuto più come moda che come reale coinvolgimento nelle sue coordinate politiche. Gli amici di Danny non sanno neanche contro cosa combattono, ma sono soltanto legati a degli stereotipi. In questo mondo pieno di incertezze, dove è labile il confine tra le cose, Danny interiorizza il dramma del suo popolo, finendo per accumulare la contraddizione della sua posizione. E' insieme ebreo e nazista, incapace di rigettare l'una e l'altra metà del suo essere. E' questo l'aspetto più riuscito e intrigante dell'opera di Henry Bean, che per il resto paga una regia eccessivamente schematica, quasi documentaristica per gran parte della durata del film. Chiari anche i riferimenti ad "American history X", già citato in apertura: la scelta dell'alternanza del bianco e nero (quì in verità meno presente), nonchè determinate sequenze esplicative dell'ideologia del protagonista. In questo senso la sequenza dell'intervista nel bar, rimanda alla scena in cui un Norton "imbarbarito" dal suo credo espone le sue posizioni contro un ebreo.
"The believer" è un film coraggioso, che indaga un mondo su cui soprattutto negli ultimi anni si sono illuminate le luci della ribalta. Lo scenario neo-nazista mondiale è ormai evidente e si manifesta tutt'oggi anche in alcune formazioni partitiche europee. Bean si sofferma soprattutto sull'aspetto religioso e da metà pellicola in poi decide di abbracciare una visione più poetica e interiore che fa perdere parte della genuinità del suo intento originario. Questo rende retorico e ridondante un lavoro che si capisce non avere una definizione tematica precisa, a causa anche di una sceneggiatura eccessivamente balbettante.
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