In un suo saggio George Orwell, contestualizzando questo assoluto capolavoro nel panorama degli anni '30, afferma che Miller, a differenza dei suoi coevi marxisti, ha più affinità con artisti del decennio precedente, quali Eliot e Joyce, le cui opere sono scevre di ogni interesse politico-sociale. Lo descrive come il bardo dell'uomo medio, annoiato da qualunque discorso che esuli dalla sua sfera personale, attento solo alla gretta realtà delle cose nella loro crudezza, spogliata di qualunque significato "alto". Questo è parzialmente vero.

E' fortemente consigliato a chiunque di aprire questo libro e accompagnare l'autore in quella che fu la sua reale vita "bohemienne" parigina. Perdendoci nelle surrealiste, grottesche pagine di "Tropico del Cancro", straordinaria opera prima, non si può fare a meno di notare che oltre al linguaggio osceno, le degradate strade di Parigi, piene di bordelli e bar straripanti di pseudoartisti affamati, la fame, un'immersione viscerale nella carne, nelle sue brutture ma anche nei suoi sprazzi di luce, c'è molto di più. Miller riesce a mettere su carta tutta la futilità e superficialità che è il mondo. Non tenta di trovarci qualcosa dietro. Mostra di comprenderela, e goderne. Lacerato il velo di Maia, scopre che sotto c'è niente, meno di niente. Ma quel niente se lo gode, e con gioia furiosa, perchè è l'unica cosa reale. E' questa la differnza tra l'Io narrante di questo romanzo, e molti dei suoi personaggi, e l'uomo medio. E forse tra Miller e Orwell. La consapevolezza.

"E questo allora? Questo non è un libro. E' libello, calunnia, diffamazione. Ma non è un libro, nel senso usuale della parola. No questo è un insulto prolungato, uno scaracchio in faccia all'Arte, un calcio alla Divinità, all'Uomo, al Destino, al Tempo, all'Amore, alla Bellezza... a quel che vi pare. Canterò per voi, forse stonando un pò, ma canterò. Canterò mentre crepate, danzerò sulla vostra sporca carogna..."

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