"Herbie è stato l’evoluzione dopo Bud Powell e Thelonius Monk, e ancora non ho sentito nessuno che sia andato più avanti di lui".
Miles Davis
Mi presento al cospetto di Sua Maestà Herbie Hancock come una giovane vergine pronta a immolarsi alle furie creative del Re della Fusione. Accompagnato dal fido compagno Rix, troviamo un Corzo Zanardelli particolarmente vivo e pulluleggiante nei pressi del Teatro Grande. Una piccola folla è incolonnata alla biglietteria (concerto sold-out) mentre, piano piano, un biscione umano sale la grandiosa scalinata che porta al foyer del Teatro. Ci accomodiamo in platea ai posti prenotati almeno un mese prima in attesa dell'evento (perchè proprio di evento bisogna parlare; mica capita tutti i giorni di avere un pezzo grosso come Herbie a Brescia). Il colpo d'occhio del Teatro è magnifico: sui palchi sono appollaiati più giovani che vecchi, quei giovani dall'aspetto un po' baldanzoso, quelli con la barbetta curata e gli occhiali trendy, quelli con i capelli fintamente caotici, quelli comunemente chiamati radical-chic, quelli coi soldi. E ci credo! Sborsare un cinquantino (minimo) per un concerto non è proprio da tutti!
Ore nove e trenta, le luci si abbassano, lo spettacolo può avere inizio. E che spettacolo perlamadonna! A uno a uno entrano in scena James Genus al basso elettrico, Vinnie Colaiuta alla batteria, Lionel Loueke alla chitarra e, infine in un boato simil stadio, Herbie Hancock al pianoforte a coda. Tripudio, gioia massima, godimento puro. Due ore di totale immersione nel mondo complesso e stratificato e allungato e immaginifico del jazz fusion, due ore di fughe e controfughe, di assoli e virtuosità varie, due ore di sballo nel continuo flusso sonoro che i quattro forgiano sul palco. Una scaletta gustosa e cremosa, un sali e scendi di emozioni tra "Cantaloupe Island" e "Rock It", tra "Chameleon" e "Watermelon Man", tra pezzi in solitaria (mirabile il pezzo per chitarra e voce dell'artista del Benin Lionel Loueke che andrebbe approfondito anche nei suoi lavori da solista) e standing ovation per Herbie, rispettabilissimo e bellissimo signore di 74 anni che si diletta a girare il mondo con una classe da far invidia a migliaia di artisti. Non è da tutti imbracciare con dignità una pianola anni '80 e raccogliere un fiume di applausi.
Tutto perfetto, fin troppo. Una meravigliosa centrifuga in cui ogni spettatore viene gettato dentro e lasciato andare per minuti e minuti di apnea artistica, un lavaggio musicale che le nostre orecchie meriterebbero almeno una volta all'anno come un tagliando d'auto allo scadere dei 30.000 chilometri. Come dentro a uno shaker siamo sballottati furiosamente, ci ritroviamo a non capirci un cazzo, solo a tratti riusciamo ad aggrapparci a qualche nota conosciuta ma è solo un attimo, un respiro affannosso in un mare in tempesta, una caldissima tempesta tropicale.
Le due ore passano in un attimo. Arrivano i bis e i tris. Sgorgano gli applausi, si alzano i cori dalla platea e dai palchetti. E' finito. Si riaccendono le luci, si ritorna alla realtà, una realtà ancora sospesa e sognante. Un grandissimo concerto, di quelli che ricordemo a lungo, quelli difficili da mettere su carta perchè le emozioni hanno preso troppo il sopravvento.
Grande Herbie, per sempre nei nostri cuori.
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