Non sono un'autorevole voce per parlare dei generi che preferisco, figuriamoci per scrivere qualcosa di bossa nova o jazz. Ma, come ho detto altrove, il mio frequentare per mille motivi il Sud America mi ha lasciato qualcosa in valigia: bigliettini, numeri di telefono vari, periodici rivoluzionari cubani, quotidiani della repubblica bolivariana, riviste patinate con pretese occidentalistiche dall'Argentina, cartine, cartacce e tanto altro tra cui questo disco.
Mi riporta in mente la serata caraibica a St. Barthes, posto dove si parla in euro (territorio francese), trascorsa sulla terrazza dell'hotel progettato dall'amico che mi ci ha portato, caraibico pure lui, acculturato poliglotta che a vederlo e a capirlo sembra un pirata dei tempi nostri tutto cervello, arguzia, alterigia e opportunismo: un figlio di puttana che non ve lo dico.
Un figlio di buona donna sì, ma ospitale, curioso, attento osservatore, amico da temere ma comunque sincero, che veste benissimo gli abiti Armani dell'ingegnere raffinato e viveur, innamorato della sua terra e, più in particolare, delle più alte forme espressive artistiche del suo continente.
In questa serata, con una cena servita sul balcone della suite che a lui spetta di diritto ogni qual volta si presenta (con preavviso) su quest'isolotto paradiso, abbiamo fatto il punto su diverse cose che riguardavano il mio viaggio (nulla di affaristico, io non sono ricco né faccio affari, ma mi avventuro. Era solo un viaggio di scoperta.). Come solo un contemporaneo padrone di casa picaresco e sud americano sa fare, il tizio prepara due cocktail che non so cosa fossero ma con la frutta tropicale vera andavano giù come acqua, mi passa da fumare e mette musica.
Compiaciuto mi dice qualcosa del tipo: "Con tutti i milioni di figli di puttana che parlano spagnolo che ci sono, alla fine la migliore musica la fanno i brasiliani".
Ed è vero. La nobiltà, il rango della musica che si produce in questa parte di mondo credo sia nota a tutti. Ma effettivamente, quegli americani che si sono trovati di fronte alla bossa nova per la prima volta e hanno deciso letteralmente di sdoganarla portandola negli States rendendola genere di successo internazionale, devono aver provato lo stesso stupore di Cristoforo Colombo dinanzi alla scoperta del nuovo continente.
Una novità, sinceramente anche per me (che dal black metal al jazz scorazzo con enorme goduria).
Cos'è questo disco (giuro che ho un vinile originale d'epoca, non so ancora se valga qualcosa, ma di certo non me ne frega. È nu piezz e core.). Si tratta di una serata tra amici, dal vivo, registrata qualche decennio fa (l'album è del 1965) a Rio de Janeiro. Gli amici sono: Herbie Mann, flautista americano di origini ebraiche che per gli appassionati non avrà bisogno di ulteriori presentazioni così come non hanno bisogno di parole due icone universalmente riconosciute della bossa nova come Joao Gilberto (chitarra e voce) e Antonio Carlos Jobim (pianoforte).
Il repertorio che affrontano è quello classico della bossa nova che qui viene riproposto nella sua forma più alta, incredibilmente sensuale, sussurrata, nobiliare. I 12 brani presentano lo charme naturale e il savoire faire delle donne bianche del Brasile in abito da sera e guanti, e chissà quante volte saranno stati ascoltati nel continente dell'eterna primavera in quelle serate intellettuali dove, per forza di cose, poi gli intellettuali si mescolano tra loro.
Il trio alza la patina fumosa e d'ambientazione esordendo con Amor Em Paz e la arcinota Desafinado, che peraltro ha un testo dal contenuto intelligente e metricamente entusiasmante. La bossa nova è poesia per l'alta borghesia da ascoltare in notturna, e così infatti ce la rendono Mann, Jobim e Gilberto, qui interpreti delicatissimi dell'inevitabile strappo culturale con le musiche e i suoni del Brasile nero, quello più selvaggio e tribale.
Il flauto maturo, la chitarra dolcemente pizzicata e la voce minimalista ma fortemente caratterizzata sono le costanti di un disco la cui variabile impazzita è costituita da tre elementi: pathos mutevole, sudore profuso e poesia vera e propria.
A volte sembrano filastrocche recitate da un filosofo esistenzialista le canzoni che si susseguono vellutate e fluttuanti: Bolinha de papel, Insensitive, Maria ninguem. La matrice popolare, come ben si capisce dall'ultimo brano elencato, comunque c'è ed è data dalla cifra emozionale della più comune ninna nanna messa in bocca ad un grandissimo interprete della canzone nazionale, accompagnato dall'eleganza personificata agli strumenti.
O barquinho, almeno in quella serata, è stato il mio pezzo preferito, melanconico e caramelloso da riempirti la bocca e lasciarti senza fiato. Un pezzo di quelli che fanno scatenare il tipico effetto saudade una volta che non sei più lì, dove galeoni europei alla conquista del mondo hanno incontrato culture locali generando un violento crogiuolo culturale che ancora oggi è in cerca di assestamento. Si prosegue con Samba de minha terra, Rosa morena, Consolation, One note samba fino alla spettacolare Bim bom, altro brano, almeno credo, di fama quanto meno nazionale che schiude l'immaginario tipico sullo spessore del Brasile: di certo non mi riferisco a ciò che purtroppo può pensare un italiano infelicemente medio. A chiusura di opera c'è Deve ser amor, fetta di papaya sulla "tarta" tropical.
Stregato dai discorsi, dalla musica, dall'acuta conoscenza della cultura continentale del mio amico, dal caldo marinaio che non mi ha mai abbandonato, dalla possibilità di stare in pantaloncini e camicia in qualsiasi momento, quella sera ho iniziato ad appassionarmi ad un genere su cui saprò dirvi qualcosa di meglio magari tra vent'anni. Suggerisco questo disco (ristampato di recente) a chi prova un minimo di curiosità per la musica dei paesi esotici ed in particolare quella brasiliana. È un disco semplice. È da quando l'ho ascoltato che mi sto spingendo nell'ascolto di musiche sud americane, possibilmente non quelle scontate, diciamo così, ma quelle più recondite, come la musica llanera venezuelana di cui credo di scrivervi qualcosa presto.
Voglio chiedere scusa per la blasfemia di un profano agli esperti, ai quali sicuramente non avrò detto nulla di nuovo. Spero almeno, di esser riuscito a farvi sentire un minimo quell'atmosfera. La prossima volta vado in Brasile.
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