Il Mondo e’ iniziato con un valzer ...sussurrò Carol Anne

Ma Tim esclamò - non so ballare il valzer

non conosco neanche la favola delle foglie danzanti

come posso generare tutta quella polvere di stelle -

Non preoccuparti, rispose Carol Anne

la luna nuova sta sorgendo, socchiudi le palpebre e tieni il passo

Il mondo è iniziato con un valzer / Ecco come andrà a finire

Tra aride terre e arcipelaghi di isole, che stavano diventando sempre più imponenti continenti, la musica fluttuava ancora alla ricerca di un nuovo orizzonte nel quale plasmare, in nuove combinazioni, sempre quei due elementi madre; terra e mare.

Anche tra quelle autostrade nascoste ed imperscrutabili ed un domani se la follia avrà il sopravvento, nelle nuove autostrade sotterranee, la musica sarà ancora regina di cuori.

Perché la musica e’ fondamentalmente, nobile e nomade.

Tra quello che resta di quel sogno americano, tra quelle utopie suburbane, in quel microcosmo stampato tra lo steccato bianco laccato, il pratino verde geometrico ed il cortile sul retro.

Che sfavilli di cometa da questa one shot di questo intimista ed eccentrico duo irlandese.

“ The Hidden Higways”, probabilmente un solo album all’attivo, “ Old Hearts Reborn”, con la fantasmatica partecipazione di Carol Anne McGowan e Tim V. Smith, alfieri di un folk jurassico con radici robustissime ma fronde che puntano deliziosamente le cime più tempestose. Il tutto condito da quella certezza di conoscere le ragioni dell’inizio e della fine del mondo e quella calma strafottente in grado di seminare il panico tra i burocrati du monde entier, l’ansia può in fondo anche diventare una splendida emozione, quando si sgombera il campo visivo da tutti quegli ingombranti fantasmi.

E certo che Carol Anne già dapprima aveva dato segnali di venerabile devianza, con quell’ esordio nel mesmerico mini album “ Songs from the Cellar “, registrato in quella antica cantina secolare della Renania, solo microfono e voce, con quella Directory divenuta poi Brand con l’amico Tim; meno qualità ma più intensità, quella minimale retro-malinconia cosi’ cara ai mai dimenticati "Sparklehorse" di Vivadixie.

Nell’ascolto di questo album e nella descrizione dei testi, come non menzionare Mark, quella esile fragilità che ti fa sembrare leggerissimo e libero di innalzarti sulla stratosfera, quella visione del mondo che col tempo però crea tutte quelle complicate vertigini...

E con la scrittura del compianto Linkous trovo tanti, tanti tratti comuni, come due tratti di stilografica che su un pannello bianco si prendono e si smarriscono, quella costante speranza di eternare l’attimo, di cristallizzare quella malinconia per domarla e renderla commestibile, quella aspirazione semi divina di sedurre e gabbare il reale, per sottrarlo idealmente al suo naturale e fisiologico decadimento mentale, fisico e spirituale.

La fragilità delle ballads e dei personaggi delle canzoni di “ Old Hearts Reborn “ è disarmante, l’unico rimedio per non mandare in cavalleria la cristalleria resta quella acuta sottrazione, quell’ingegnoso stratagemma di ancorare il tempo nei fondali di quella antica emozione, permettendo solo ai ricordi di creare quella fittizia aura di movimento, in sana pianta infine cercando quel filo di speranza e quella criptica redenzione ed ultima fonte di salvezza. In quella creazione Folk del mondo, tra tradizioni secolari e canti popolari irlandesi, i nostri eroi respirano la purezza dell'elio-sfera senza filtri, sfarfallando in uno spazio atemporale, dove domina quell’essenza sconosciuta al mondo occidentale, quella secolare saggezza tramandata dagli oracoli di Dana.

Quello stato di angoscia da gestire accantonando quella tentazione antagonista , quello scontro frontale, ma che deve infine portare a quella sedimentazione di riflessioni, all’avallo di quella sconfitta sommessa mirando la costellazione di turno.

Lo stile di Carol Anne mi ricorda molto quella sinuosità senza tempo di un’altra grande artista, di Sybile Baier, anche se la Baier mi dava proprio l’impressione di essere ancora meno materica , ancora piu’ astrale ed anche nell’ascolto piu’ svogliato, in quel suo fantastico album all’inizio sono sempre indotto ad associare una fine…non so il perché.

Chi abbiamo al cospetto, ordunque ?

Tim e Carol Anne, certo, due soffici artisti irlandesi, persi e liquidi all’interno di una bolla folk senza tempo, che si crogiola e dondola tra ballate innevate, i riferimenti artistici sarebbero anche tanti ma il duo ha una proverbiale calma ed una distanza, da tutto, veramente singolare.

Dàlle prime note parte il timer al contrario e si ha quella straniera sensazione di essere avvolti inconsapevolmente all’interno del sottovuoto di un’anfora gaelica; apre delicata “ Empire of Old “, viaggio al tramonto che già’ dal titolo rimanda a quella invisibile fessura guida di quel sottobosco di viola, steel guitar e armonica, verso quella phantasmagoria in two seminale, con quel timbro della voce di Carol Anne presente ma sempre fuori tempo, che pare provenire da quel vecchio giradischi dimenticato in soffitta.

The World Began Whith A Waltz “ dovrebbe essere l’ideale ouverture, quello schiocco delle dita che ti arresta il battito del tempo, resetta tutti i tweet ed apre con il velluto verso quel folk d’antan. Zero effetti e riverberi, estetica essenziale in un sound che ha nell’abilità vocale la componente principale, ma quella temperatura e quel calore sono di altri mondi.

“ The Velvet Voices “ e’ stupefacente nella sua piatta calma, e’ difficile sfidare quella vetta della versione originale di T. Van Zandt, ma l’adattamento con il resto dell’album ha una naturalezza notevole, quella scarna essenzialità e quell’arrangiamento temporaneamente rubato al pop portano il brano in quel magico livello dell’opera.

Terra e Mare.

Il mondo è iniziato con un valzer / Ecco come andrà a finire

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