Il fetore di mille carcasse giacienti in un campo di battaglia è l'odore della loro indipendenza...
E' questo lo spirito che ho trovato ad animare il nuovo, ottimo lavoro degli High On Fire, la band dell'ex-Sleep Matt Pyke il quale, lontano dalle lunghe escursioni della sua ex band Sleep, ha deciso che era il momento giusto per dedicarsi all'heavy metal di vecchia scuola.
Se si dovrebbe rintracciare la band più vicina all'attitudine degli HOF, quella è sicuramente i Mastodon, con la differenza che negli HOF non c'è traccia di "fronzoli" prog e l'intransigenza è una caratteristica principale, come dei barbari che non hanno alcuna intenzione di fare prigionieri. Entrambe, andando controcorrente ai trend che si sono impadronite in modo allarmante di questo vasto (quanto poco stimolante) genere musicale, hanno una missione: riproporre le sonorità heavy del loro periodo di gloria, i Mastodon sviluppandole attraverso strutture progressive e complesse (ma non fini a sè stesse, attenzione), gli HOF invece in maniera totalmente pura (ma sicuramente lontana da innocui tributi/omaggi), senza sterili esibizione di tecnicismi o maleodoranti e irritante pose. Gruppi come questi due hanno una concezione di heavy metal molto simile ed hanno, in poche parole, lo scopo di mettere un freno alla dilagante, enorme diffusione di produzioni levigate e "ingellate" che minano continuamente lo spirito originario delle sonorità heavy, dimostrando che c'è ancora qualcuno che il metal non lo vede come un'esibizione di fighetti con b.c. rich che giocano a fare la spazzola o con pose da cazzuti (vero trivium, risibili puttanelle?).
Il concetto appena espresso viene perfettamente raffigurato dalla splendida cover "fantasy" ad opera di Arik Roper, dove un guerriero trionfa sui nemici portandosi con sè i loro trofei (facile immaginare di chi potrebbero appartenere quelle teste). Dal lato prettamente musicale, la novità più evidente rispetto al disco precedente è una produzione meno caotica e leggermente più "snella", che però mantiene ancora la sporcizia adeguata e la sua irruenza primitiva, risultando a conti fatti più efficace e trancia-carne di quella di Steve Albini. Le canzoni non danno respiro, la tempesta che riescono a scatenare non lo permette, e da cavalcate furiose si passa ad epici mid-tempos che purificano l'aria e la riempiono di orgoglio.
Altra novità che è impossibile non notare è la perfetta similitudine della voce di Pike con quella leggenda di un Lemmy, cosicchè in molti tratti ("Rumors of War", o la title-track ad esempio) il rauco/lacerato di Pike paga il doveroso tributo a chi della volontà di non scendere ad alcun compromesso musicale ne ha fatto una ragione di vita. Una nota che potrebbe essere negativa per più di un'ascoltatore è che questa valanga che lo travolge è talmente pesante e monolitica da non farlo emergere più, e quindi lasciarlo esanime al suolo prima ancora che sia finito il disco.
Beh, questa è musica heavy nel senso autentico della parola, per cui và presa con cautela, solo quando si è in grado di cimentarsi in proposte d'ascolto estreme come "Death is This Communion". L'esperienza di ascolto, in quel caso si rivelerà davvero entusiasmante e difficilmente rintracciabile con altri gruppi, questo perchè la passione degli HOF ha creato una propria dimensione musicale in cui l'annichilimento è ordinario. Questo, prima ancora che un disco, è la volontà ferrea di non tradire alcuni valori di questa musica perduti da tempo e di non sottostare minimamente a nessuna legge di mercato, quest'ultimo sempre alla ricerca della "new sensation" che non lascia alcun segno e cade nel dimenticatoio ancora prima di essere rimpiazzata da quella prossima. Questo disco non è fatto per essere apprezzato senza condizioni, perchè vuole qualcosa in cambio: la dedizione e il rispetto verso chi ha contribuito alla formazione di queste sonorità.
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