"Voglio che lo spettatore, dopo la visione di un mio film, si ponga due scelte: o suicidarsi o commettere un omicidio" [Hisayasu Sato]
BENVENUTI ALL'INFERNO.
Non sentitevi in dovere di leggere questa recensione. Tutto quello che vi è contenuto potrebbe rivoltarsi contro di voi, sporcandovi poco a poco.
Perché Hisayasu Sato è, di certo (qui non ci sono dubbi), il regista più maledetto e malato che sia mai apparso sul pianeta Terra. Mostro del pinku-eiga, un genere basso da sfruttare per avere il massimo della creatività artistica ed espressiva al fine di poter mettere in scena ogni più turpe visione. Il cinema di Sato nasce dalle viscere, dalle mosche di cadaveri putrefatti da secoli, dall'odore sporco del sangue. Emerge dalla sporcizia e raggiunge l'Eden.
Non confondetelo con un pervertito, però: Sato è un autore a tutto tondo. La sua è una poetica complessa e precisa, chirurgica, capace di trattare in film di 60 minuti complesse tematiche sociali e umane attraverso allegorie, ma di questo ne parleremo dopo.
Innanzitutto, due nozioni:
- Hisayasu Sato pare che sia dichiaratamente asessuato e che questa sua condizione sia stata determinata da abusi sessuali da parte del patrigno in età adolescenziale. Sato ha più volte dichiarato di non essere attratto né dagli uomini e né dalle donne: è attraverso il cinema che l'autore sfoga i suoi istinti, parlando in toni grotteschi sia il desiderio eterosessuale che quello omosessuale. Il cinema, per definizione, è il mezzo del sogno, un mezzo dove tutto è possibile: questo aspetto è preponderante in tutti i film di Sato, tutti (chi più e chi meno) metacinematografici.
- In uno dei suoi film più celebri, quello di cui vi sto per parlare, "The Bedroom" (1992), nel ruolo di uno dei protagonisti c'è Issei Sagawa. Se questo nome non vi dice niente, sappiate che è un pezzo di merda bello e buono. Conosciuto per aver ucciso una sua compagna di università, aver abusato del suo cadavere e averne mangiato il corpo pezzo dopo pezzo, il suo caso è diventato ancora più controverso per essere riuscito a farla franca. Grazie al suo prodigioso conto in banca è riuscito a raggirare ben tre tipologie di giustizia (quella Francese - il fattaccio è avvenuto a Parigi-, quella Canadese -la ragazza era Canadese e a nulla sono servite le continue denunce da parte della famiglia della donna- e quella Giapponese, nonostante sia nota per la sua rigidità) e a diventare una star (!), scrivendo best-sellers e, addirittura, un editoriale per un noto tabloid nazionale.
Bene. So che ora la vostra indignazione è salita alle stelle.
Io stesso di fronte al caso di Sagawa mi chiedo che fine abbiano fatto la giustizia e il valore morale, ma è di cinema che voglio parlare. Quindi, per una volta, lasciamo da parte questioni di questo tipo, concentrandoci solo sul film in quanto tale. Non su chi l'abbia girato o su chi ci abbia recitato, perché è così che un'opera andrebbe valutata SEMPRE.
Di cosa parla "The Bedroom"? Hisayasu Sato si è ispirato ad un classico della letteratura giapponese, "La Casa Delle Belle Addormentate" di Kawabata, per raccontarci un universo di latex e disperazione. Personaggi che si vergognano delle proprie perversioni e dei loro feticismi hanno la possibilità di accedere ad una stanza dove vengono sedati con un sonnifero. Durante il sonno, altri personaggi contribuiranno a far vivere all'addormentato i loro desideri più feroci. Poi accade che la storia vira improvvisamente nel thrilling: una ragazza muore all'interno della sua stanza e sua sorella, incapace di superare la cosa, decide di chiarire il mistero.
Non aspettatevi, però, né un film erotico e né un thriller ad alta tensione, perché i film di Sato sono sempre delle opere a loro stanti, oggetti misteriosi e criptici dove la decifrazione, a volte, è totalmente inutile. Bisogna lasciare che il film ci accoltelli silenziosamente, con il suo ritmo lento e catartico e con i suoi passaggi poco chiari e con i simbolismi. L'opera che ne esce fuori è complessa e ricca di letture, come tutti gli altri lavori dell'autore.
Sotto la patina del malsano si cela l'ennesimo studio della società giapponese: una riflessione su un paese che vive all'interno di un irrisolvibile ossimoro. Un paese allo stesso tempo permissivo, aperto e all'avanguardia, ma al contempo rigido, ordinato, freddo e alienante. Dove il puro desiderio sessuale si tramuta in perversione, dove omicidi vengono compiuti senza il minimo ripensamento e dove la comunicazione non può esistere senza violenza.
C'è anche tutto un discorso sul cinema: cinema come mezzo dove tutto è possibile. Dove la denuncia del reale può insinuarsi tra le pieghe dell'inespresso, dove tutto ciò che viene trasmesso al cinema dev'essere necessariamente più bello e affascinante, perché in preda all'equilibrio tra "verità" e "finzione".
A detta di questo, Werner Herzog ci ha insegnato che: "Un film dove tutto è finto e pianificato è morto. Un film dove tutto non è pianificato per mostrare la realtà nuda e cruda è comunque morto. Il cinema vive quando si crea un equilibrio tra realtà e finzione."
Ed ecco che, in una delle scene più emblematiche del film, la protagonista femminile si riprende il sesso con una cinepresa mentre è intenta in un asettico autoerotismo. Non lo vive: lo guarda in tempo reale su uno schermo televisivo accanto a lei e solo guardandolo riesce ad eccitarsi.
L'universo di Sato è dominato da voyeur, anche in "The Bedroom", dove gli occhi sono chiusi, coperti, addormentati...
Un universo complesso, dove persino il detto "L'amore è cieco" viene spiegato in termini cinematografici e scientifici. Perché nell'oscura catarsi dei sensi e nella discesa negli inferi più zozzi, Sato fa sempre emergere l'amore come cura di ogni male.
Come in "Muscle" (1988), suo capolavoro, un braccio mozzato e restituito al proprio amato e la scelta di accecarsi permetteva ad una coppia di vivere pienamente nell'amore, anche in "The Bedroom" il legame affettivo diventa la cura della violenza.
Oscuro e sofferto, "The Bedroom" è un film difficile, non adatto a tutti i palati (e se con Sato siete dei novellini, non partite da questo). Eppure tremendamente affascinante, destinato a crescere con il tempo.
Una visione ermetica, straordinariamente senza tempo. E dolorosissima.
Vi ho lasciato il biglietto per l'inferno.
Partite o no?
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