"Finché eravamo giovani era tutta un'altra scemenza"
In Passione e ideologia del 1960, Pier Paolo Pasolini parlava del rapporto che si ha con le opere del passato di cui si era persa memoria nel tempo e di come il loro valore "possa richiedere uno sforzo d'immedesimazione per essere apprezzato, ammesso che questo valore intrinseco sia mai esistito"*. Nella mia ricerca di modernariato musicale da mettere come sottofondo quando scrivo tesine che nessuno leggerà, riordino camere che nessuna avventuriera da una notte mai vedrà (ho la ragazza da abbastanza tempo perché si sia abituata al disordine) e cucino cibo che i miei familiari non apprezzeranno (ma che mangeranno eccome), mi capita anche di trovare dischi carini. Di quelli di un certo valore intrinseco, che richiedono poca immedesimazione per essere apprezzati e sono opera di gente che un po' dispiace sia scomparsa nell'anonimato. Devious Methods (1998) di Hive è uno di questi.
Non che sia un capolavoro fresco e innovativo: è drum and bass ormai terribilmente fuori(ssimo) moda da un quindicennio, ma fa ancora bella figura. È un bel disco insomma.
- I pregi. Il disco spacca. E senza abusare di beats belluini e campionamenti ignoranti: è un'elettronicaccia variegata e intelligente, che tiene sempre viva l'attenzione dell'ascoltatore e non si perde negli sbrodolamenti sfrangimarroni tipici di certa techno. È un disco che una volta avrebbero definito "colorato", "pieno di energia" e "sempre vario", proprio come la sua copertina a cavallo tra hip-hop, new age e Tekken 3. E l'hip-hop è il palesemente l'ambiente da cui viene fuori Hive (che lavora(va?) a San Francisco ma che ovviamente è inglese ed ha fatto solo un altro album a parte collaborazioni varie), tanto che anche nel pezzo più casinaro troviamo momenti riflessivi che ricordano quell'hip-hop strumentale che proprio in quegli anni stava acquisendo salda coscienza di sé.
- I difetti di questo disco sono che è tremendamente figlio del suo tempo. Esempio più chiaro di ciò sono quei sample infilati un po' dovunque di gente che parla e che dopo un po' annoiano un sacco. [Piccola digressione erudita: non a caso è una moda degli anni '90, il decennio in cui i giovani si erano accorti che il rap spaccava e che quindi bisognava mettere ovunque gente che parlava alla cazzo. Nel 1994 i Korn, che taluni vedevano come la grande promessa del rock del futuro (poveracci) parlavano di brutto tra le canzoni. Nel 2000 i Linkin Park avevano già smesso, e loro nel panorama rock erano i duri del campetto parrocchiale con il gel, le bombolette e le nike silver per cui se c'era qualcosa di figo in giro loro dovevano farlo. Come mai non faceva più figo? A me piace pensare che la colpa sia di due band in particolare].
Quindi, riassumendo: Devious Methods è un bel disco, che il suo autore non si faccia più sentire molto in giro era assolutamente inevitabile e consiglierei l'ascolto di questo disco non solo agli appassionati ma anche ai curiosi.
(*potrebbe non averlo detto)
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