Se avete un certo gusto per l’aneddotica rock, siete sicuramente a conoscenza dei ‘rumores’ che stanno intorno a questo disco, famoso e famigerato, e delle leggende metropolitane che fanno molto ‘magazine aspirante trasgressivo’ per i timorati ragazzini che hanno voglia di andare oltre… sempre e comunque, anche solo a parole… e non c’è niente di più menzognero delle parole.

La storia non storiografica, quella che nei suoi intenti, viene a parole divulgata, con il presunto scopo di andare oltre agli eventi, ci dice che il disco fu scritto interamente da Kurt Cobain per le Hole, gruppo-fantoccio, la cui attività era più che altro legata alle intemperie della leader e moglie Courtney Love, regina dei pettegolezzi rock, in base alla mitologia, una perfida approfittatrice e cacciatrice di eredità venuta da San Francisco, la quale per vendere il suddetto disco, decide, a fini pubblicitari, di far morire la bassista, Kristen Pfaff, di overdose, tanto per alimentare il mito ‘sesso, droga&rock ‘n roll’ … e in più, ed è questo il colpo di genio, il marito… il compianto Kurt. Almeno, ciò è quanto desumiamo da certi saggi-inchieste, documenti non ufficiali, roba di seconda mano, scoop fenomenali, che compaiono, in norma ogni 3-4 mesi su autorevoli, presunti giornali rock, scritti da altrettanto autorevoli giornalisti, e da trattati fondamentali per la letteratura da supermercato, come certe opere dell’immenso Tom Grant… chissà… forse con gli stessi fini pubblicitari della Love.

Per quanto riguarda la storiografia, quella ufficiale, la sola di cui abbiamo prove certe metodologicamente verificate, le Hole, nell’aprile del ’94, pubblicano “Live through this”, prodotto pop-grunge per antonomasia, a mio parere, più del celebrato “Nevermind”, anche se, ovviamente, non caratterizzato dalle stesse vendite.

L’apertura è affidata ai mitici tre accordi di “Violet”, E-C-G, “and the sky was made of amethyst…”, degno incipit dell’album che si risolve in una sfuriata vocale della Courtney..: “take everything, take everything, take everythingggg!”. Si prosegue con “Miss world”, canzoncina dai toni pop e decisamente quella che più scade rispetto al resto dell’album, che continua su questa stessa alternanza tra fervore grunge e strizzatine d’occhio alla politica mtviana. Naturalmente, non mancano elementi foxcoriani: “Gutless”, “Plump”, “Jennifer’s body”, e l’anima country della Love, che di tanto in tanto emerge nei suoi componimenti: “Softer/Softest”, “Doll parts” … e del resto, anche “Miss world” partiva dallo stesso spirito. Ma tutto è sin troppo patinato, edulcorato, i testi e l’attitude diventano quasi stereotipi, le melodie tendono al grunge inteso come nuovo ambiente in cui sguazzare, per un album che cancella totalmente quanto le Hole avevano fatto nel precedente “Pretty on the inside”, carico di partecipazione emotiva e tensione esasperata.

Sembra una band completamente diversa quella che suona in “Live through this”. Un album che esprime in pieno il periodo in cui le camice di flanella e i jeans strappati erano ormai all’ordine del giorno, in cui bastava solo questo per vendere. Ma la vena di Courtney, influenzata forse dall’esperienza personale, non riesce comunque ad esprimere con dovizia ciò che musicalmente non era suo… per questo “Live through this” non può essere stato scritto da Cobain. Certo, la sua influenza è evidente. Chiunque è influenzato dalle persone con cui condivide qualcosa. Figuriamoci la stessa vita. Ma spesso non si riesce a tradurre ciò che proviamo in forme adeguatamente artistiche, specie se certe cose non le possediamo per natura. Ciò non significa che questo lavoro delle Hole non abbia una sua valenza autonoma.

Abbiamo di fronte un album che, in un modo o nell’altro, è storia, in quanto anch’esso si inserisce nel clima di entusiastica adesione ai ‘resuscitati’ ideali rock che il grunge aveva riportato alla luce. In questo senso, esso è il documento, in generale, di quanto il grunge aveva influenzato ormai l’immaginario rock, in particolare, della profonda affezione di Courtney nei confronti di Kurt. Più che di spudorato utilitarismo, è un atto d’amore, di fedeltà, fino alla fine, oltre la morte… e così che recita il bridge di “Asking for it” … “if you live through this with me, I swear that I would die for you” . Tutto ciò che successe in seguito è ormai negli annali, quelli ufficiali. Tutto il resto, quanto vi è di non ufficiale, è affidato al nostro arbitrio, alla nostra interpretazione. E se questa mia, vi sembrerà assurda, è solo perché la scrittura, le parole, sono gli strumenti precipui dell’arte di sostenere l’assurdo.

Tocca a noi andare oltre a questo… se ne abbiamo la forza. Perché, come Oscar Wilde scrisse, “chi va oltre il simbolo - in questo caso, le parole - lo fa a suo rischio e pericolo… ” .

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