Torna la figlia di nessuno, la regina del rock anni novanta, finalmente con un buon disco dopo il mega flop solista del 2004. Courtney Love decide di evolvere la sua ex band con una formazione completamente rinnovata (non parla di reunion ma di evoluzione), escludendo persino lo storico co-fondatore Eric Erlandson, e l’ultima bassista della band nonché ex Smashing Pumpkins Melissa Auf Der Maur, ugualmente non inclusa nei nuovi Pumpkins di Corgan nel 2007. Con Erlandson la disputa per la detenzione del nome è ancora in corso, e mentre lui vuole portarla in tribunale e promette pubblicazioni di materiale inedito degli anni novanta, la Love si difende dicendo che già mesi prima di incontrare lui nel 1989 e far decollare la band in seguito, aveva una band col nome Hole. I nuovi componenti sono tutti ragazzi: Micko Larkin alla chitarra (ex Larrikin Love), nonché co-produttore dell’album, Shawn Dailey al basso (ex Rock Kills Kid) e Stuart Fisher alla batteria.
Questo è il quarto album in studio a nome Hole seguito dopo dodici anni del pluripremiato “Celebrity Skin” del 1998, di nuovo al timone della produzione c’è Michael Beinhorn, l’uomo artefice di successi di Marylin Manson, Soundgarden, Korn e Red Hot Chili Peppers. “Nobody’s Daughter” è il frutto di una gestazione lunga e travagliata, in principio sarebbe dovuto essere il secondo album solista della Love finchè dopo aver scartato i primi risultati decise di rimettere su le Hole nel giugno 2009, iniziò a lavorarci ben cinque anni fa durante il suo ultimo periodo di riabilitazione che l’aveva portata a disastri di vario genere tra cui il suo unico album solista “America’s Sweetheart” nel 2004 su cui non ebbe il pieno controllo sia per via dell'ex etichetta, la Virgin, sia perché sostenne di essere stata troppo fuori controllo sul piano personale per fare un buon disco. A questo proposito dice: ”Nel sud della Francia partorii quella spazzatura, di quel disco non mi piace nè il concept, nè la musica nè la grafica!”
Parte di “Nobody’s Daughter” include pezzi che in versione demo circolavano in rete già da fine 2006, altri invece completamente nuovi scritti da Courtney e il nuovo membro Micko Larkin. Altri ancora a cui hanno contribuito due vecchi amici quali Linda Perry e Billy Corgan.
L’artwork è un mix di citazioni personali a partire dallo stile fiabesco tra il famosissimo “Live Trough This” e “Celebrity Skin”, scarpette di cristallo insanguinate e figure emblematiche a metà tra bambole e personaggi mitologici, mentre la copertina è un’autocitazione alle vecchie Hole: il celebre dipinto di Maria Antonietta (di Elisabeth Vigèe-Le Brun) con una rosa in mano, presente nel booklet di una raccolta di rarità del 1997 “My Body The Hand Grenade”, proposta in tutta la sua cruda realtà: l’immagine tagliata dalla testa in su, un pronostico di decapitazione, come realmente accadde alla regina francese.
La title track è una ballata cupa e granitica in cui si respira puro suono Hole, rinvigorito. Segue il primo riuscitissimo singolo “Skinny Little Bitch” già in vetta alle classifiche alternative mondiali, il pezzo che più rimanda al vecchio suono della band che corre seguendo un potente giro di basso. E ancora una splendida ballata “Honey” dedicata al compianto Cobain, terzo brano scritto insieme a Larkin. Spiccano prepotentemente altri singoli tra cui “Pacific Coast Highway”, seguito di “Malibu” del precedente album, “Samantha” e il pezzo per eccellenza scritto con Linda Perry: “Letter to God”, con uno dei testi più introspettivi mai partoriti da Courtney Love. “Someone Else’s Bed” probabilmente è uno dei momenti più intensi. Altri pezzi più marcati sono “Loser Dust” e la old school “How Dirty Girls Get Clean”. Chiude il tutto la dylaniana “Never Go Hungry”. L’album in complesso è un respiro di linfa nuova, frutto degli ultimi periodi della bionda leader, appare come un perfetto incontro tra melodie retrò, atmosfere da classico repertorio Hole e una voce ritrovata e in parte resa ancora più intensa dal tempo, dal fumo e dalle droghe, quanto la Marianne Faithfull di “Broken English”.
La cosa che personalmente apprezzo è che Courtney Love all’età di quarantacinque anni decide di riassemblare la band e di rimettersi in gioco con un buon disco promuovendolo con singoli quali “Skinny Little Bitch” o “Samantha”, che sono distanti dall’ultimo lavoro del 1998, assolutamente più pop e accattivante, per cui una scelta coraggiosa. In attesa della tournèe europea e americana godetevi questo lavoro, un gioiello delizioso.
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