Mi accingo a recensire il terzo lavoro degli austriaci Hollenthon, "Opus magnum", uscito nel 2008 a ben sette anni dall'ultimo "With vilest of worms to dwell", che a sua volta seguiva il disco d'esordio "Domus mundi", del 1999.
Innanzitutto, come definire il genere degli Hollenthon? Direi, come ben evidenziato da Sly nella sua recensione, un misto di death metal melodico e sinfonico, con influenze power, estremamente rapido e magniloquente, in cui alla voce maschile in growl, assolutamente preponderante, si alternano la voce maschile pulita e quella femminile. Già si intuisce, dunque, come la proposta musicale di questo gruppo sia caratterizzata da una certa originalità e notevole complessità, e non sia di facile ed immediata assimilazione. Ciò detto, i dischi precedenti riuscivano a sintetizzare bene in un insieme coerente e sensato, direi anche affascinante, tutti gli elementi appena enumerati, ed erano a mio avviso davvero buoni; quest'ultimo sostanzialmente non mi ha delusa, pur con la necessità di alcuni distinguo che esporrò qui oltre.
“Opus magnum” consta di otto tracce di varia fisionomia, in cui si ritrovano sezioni di metal tradizionale alternate a parti orchestrali degne di una colonna sonora cinematografica (“Of splendid Worlds”), momenti di maggior delicatezza (si veda l'inserto lento con voce femminile in “Son of perdition"), ricordi della musica orientale ("Misterium Babel", davvero un pezzo intrigante). I pregi del disco sono senza dubbio un senso di grande epicità che non scivola quasi mai nello stucchevole (pericolo, come si sa, insito nel genere sinfonico), unito ad una certa impressione di oscura inquietudine che prende l'ascoltatore e lo trascina irresistibilmente in un mondo peculiare. Rispetto al predecessore “Opus magnum” ambisce (come credo il nome stesso voglia indicare!) ad essere più bombastico ed incalzante, ma anche più oscuro ed aspro, meno “easy-listening” (perdonatemi l'espressione, forse non adeguata al genere!), riuscendoci appieno. Tuttavia, l'operazione di spostamento appena descritta ha anche dei risvolti negativi: “Opus magnum” è meno vario in proporzione rispetto al predecessore, e forse meno sorprendente. È pur vero che i brani hanno anche in questo album, come nei precedenti, anime diverse e componenti variegate, come sopra evidenziato, però risultano alla fine più simili l'uno all'altro di quanto non accadesse in “With vilest...”, forse proprio per la preponderanza della parte orchestrale e per i ritmi costantemente “tirati”.
Comunque, un gran gruppo ed un gran bel disco, a cui dò 4 stelle.
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