Come Uccidono Le Brave Ragazze (A Good Girls Guide To Murder, 2019) è il romanzo d’esordio della scrittrice britannica Holly Jackson. È divenuto un best seller grazie al tam-tam su internet (in particolare TikTok), nonché il primo capitolo di una trilogia proseguita con Brave Ragazze, Cattivo Sangue e Una Brava Ragazza È Una Ragazza Morta. Nell’agosto 2024 è uscita la serie tv BBC/Netflix che traspone il primo libro in sei episodi.
Little Kilton è una cittadina immersa nel verde della provincia inglese. È qui che vive la diciassettenne Pippa Fitz-Amobi, detta Pip, insieme alla madre, rimasta vedova quando Pip aveva solo un anno, al patrigno, avvocato nigeriano, al fratellino di dieci anni e al loro cane.
L’estate è finita, e Pip durante l’ultimo anno delle superiori deve realizzare un EPQ (Extended Project Qualification), cioè una sorta di tesi o lavoro di ricerca, da allegare alla domanda d’ammissione per Cambridge e altre università. S’improvvisa quindi criminologa e rispolvera un fattaccio avvenuto proprio a Little Kilton cinque anni or sono: Andie Bell, la ragazza più popolare della scuola, sparì senza essere più ritrovata. La polizia sospettò del suo ragazzo indiano, Sal Singh, che però dopo un primo interrogatorio fu ritrovato morto per overdose di farmaci. La sua morte fu vista da tutti come un suicidio, il suicido come un’ammissione di colpevolezza per l’assassinio di Andie, e la faccenda fu chiusa. Pip, che però ricorda Sal come il bravo ragazzo che quand’era piccola la difese da dei bulli (nella serie tv ha una motivazione più profonda, e chi ha visto QUEL flashback sa cosa intendo), inizia a ficcanasare aiutata da Ravi, fratello minore di Sal deciso a riabilitarlo. Scoprirà di averci visto giusto quando inizierà a ricevere messaggi minatori.
Sinceramente non ho trovato questo primo romanzo geniale e innovativo come molti dicono: è un puntatone di Derrick o Law & Order spalmato su 500 pagine o sei episodi tv. Ciononostante il mistero è ben congegnato, la scrittura è scorrevolissima, e i colpi di scena sono serviti al punto giusto. Il classico lavoro che non dice nulla di nuovo, ma lo dice benissimo. Inoltre, trattandosi di un “young adult”, si apprezza il fatto che vengano trattati temi spinosi come lo spaccio di droga o lo stupro senza cadere nel cruento o nel morboso. Davvero un ottimo giallo adatto a tutte le età, a cui si perdona anche il wokismo forzato ormai onnipresente in tutti i prodotti di fiction (Pip con la sua famiglia multietnica ovviamente coesa e felice, la sua migliore amica ovviamente gay, Sal colpevolizzato senza beneficio del dubbio perché indiano, il bianco biondo e ricco che si rivela uno stupratore seriale...).
Il secondo romanzo si svolge qualche mese dopo il primo. Pip, avendo risolto il caso di Andie e Sal, è divenuta una celebrità locale con tanto di podcast true crime. Ha promesso ai suoi di non cacciarsi più nei guai. Ma un giorno Connor, uno dei suoi più vecchi e cari amici, bussa alla sua porta disperato perché suo fratello maggiore, il ventiquattrenne Jamie, è scomparso. Dato che era già scappato di casa in passato, la polizia non intende muovere un dito. Pip, dapprima riluttante, ricomincia a indagare, aiutata da Connor e dall’inseparabile Ravi, ormai suo ragazzo.
Un sequel che ho preferito all’originale: ritmo e tensione sempre a mille, un mistero dagli sviluppi davvero imprevedibili (dal catfishing sul web fino a un serial killer morto vent’anni prima), un climax shock, e un finale dolce-amaro che fa da ponte al romanzo successivo.
Nel terzo volume Pip è in pieno stress post traumatico dopo quanto avvenuto nella precedente avventura, tanto da essere schiava dello Xanax (comprato sottobanco da uno spacciatore) per riuscire a dormire. Mentre tenta di rimettere insieme i pezzi della sua vita a poche settimane dall’inizio dell’università, si ritrova nel mirino di uno stalker. La polizia pensa a uno scherzo e, tanto per cambiare, se ne lava le mani. Pip deve rimboccarsi nuovamente le maniche, e investigando si renderà conto che sull’omicidio di Andie Bell, da cui sono scaturite tutte le sue peripezie, c’è ancora molto di importante da scoprire…
Quest’ultimo romanzo difetta in ritmo rispetto ai precedenti (almeno nella prima parte), poiché la penna dell’autrice si sofferma ad esplorare lo stato d’animo traumatizzato della protagonista. Tuttavia l’intreccio giallo è costruito con perizia chirurgica, e tira le fila di tutta la saga facendo quadrare ogni cosa.
Molti fan purtroppo sono rimasti delusi e contrariati dal fatto che stavolta Pip, per salvarsi la vita, tenere al sicuro i suoi cari, e fare giustizia, sarà costretta a sporcarsi le mani nel peggior modo possibile, ma a me la cosa non ha dato particolarmente fastidio, per due motivi.
Primo: è normale che Pip non sia più ingenua e idealista come all’inizio della storia. E il fatto che un personaggio si evolva in base all’esperienza, proprio come una persona reale, è da sempre un punto a favore per lo scrittore, non certo un difetto.
Secondo: come diceva Leonard Cohen “Non esiste un punto virtuoso in cui posizionarsi quando sei in mezzo a un massacro”. Nella vita ci sono situazioni così complicate che qualunque cosa tu decida di fare non sarà mai la cosa giusta in assoluto. Puoi solo sperare che sia la meno sbagliata e convivere col peso della tua scelta, che poi è il succo di tutta la storia (o almeno così l’ho intesa io).
Infine c’è Kill Joy, la novella prequel (non inclusa in questo volume), in cui Pip, giocando a “cena con delitto” coi suoi amici, sfoggia per la prima volta il suo acume investigativo e decide di rivangare il caso di Andie e Sal.
Narrato anche questo prologo, siamo ormai di fronte a una storia perfetta, risolta e completa, su cui non si può aggiungere altro.
Eppure… Eppure al personaggio di Pip – questa Jessica Fletcher in erba, risoluta e tormentata, dolce e pungente al tempo stesso – io mi ci sono affezionato. Forse anche perché, avendola conosciuta con la serie Netflix, per me avrà sempre il volto simpatico e dolcissimo della brava Emma Myers. Sta di fatto che leggerei volentieri altre sue avventure, magari all’università o in età adulta.
Mi rendo conto che, dopo quanto passato, sarebbe folle per Pip giocare ancora alla detective. Ma quando una brava persona si mette un grosso peso sulla coscienza (come lei nel terzo libro) non crede di meritare una vita serena e tranquilla, e ne occupa una buona parte cercando di fare ammenda. Tutto quello che abbiamo letto finora potrebbe essere una splendida origin story, il motivo che spingerebbe Pip a diventare una detective o criminologa di professione.
Quindi, Holly Jackson, se mi stai leggendo ti prego di rifletterci sopra: ci sono tanti Andie e Sal che meritano giustizia e tanti Connor che devono essere trovati. Pip Fitz-Amobi è l’eroina che la narrativa young adult non merita, ma di cui noi lettori abbiamo bisogno.
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