Come al solito per la musica degli Hood siamo dalle parti dell'autunno.
E' una musica fatta di riverberi, echi di suoni lontani, voci che collaborano con gli strumenti, che si pongono al loro servizio più che guidarli.
Musica densa, pluri-stratificata. Le tessiture sono talmente stratificate e complesse che l'ascolto si delinea come ricerca degli infiniti suoni cosparsi e costituenti le tracce del disco.
Tracce che conducono oltre, in luoghi lontani, sempre più lontani. Ma da dove?
Come se stessimo sentendo degli echi infiniti ma si fosse persa la voce originaria che li ha emessi. Musica di chi ha perso la direzione, dello sperdimento, della decostruzione della struttura sonora e del senso.
Post-rock?
Si, in questo senso musica della fine del millennio. E di quello nuovo. Di un epoca che ha perduto il coraggio di dire e preferisce non dire, di un epoca schiacciata dal peso della storia, del passato. Schiacciata dall'infinita sequenza dei fatti avvenuti. Dei suoni emessi. Sonorità allora che insieme si fa minimale e massimamente massimalista.
Minimale nel costruire canzoni in fondo semplici, con un tronco che le ancora ad una struttura di senso avvicinabile, udibile, umana. Si chiami questo anche pop. E sia.
Massimalista nella sovrapposizione complessa degli strati di suoni. Le canzoni in fondo non sono storie, melodie. Non c'è una melodia in seguito ricoperta di orpelli. L'orpello è tutto. La melodia non è indipendente dai suoni che la compongono. E' la loro somma. Un puzzle sonoro dove ogni elemento arricchisce e dona senso a tutti gli altri. Una musica organica. Un organismo sonoro che avanza e trascina.
E la tenerezza.
Gli Hood ti accarezzano, irradiano il mattino con la tenerezza di un gesto caloroso originario. Outside Closer è un album meno elettronico del solito, meno malinconico anche.
E' tornato l'autunno.
Ma scalda i cuori.
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