A Celebration
Silver è un musicista molto attento e preciso. Oltre a essere uno dei più grandi jazzisti di sempre, si intende, oltre a quello è anche un musicista molto preciso e attento. Come ricorda Joel Dorn nelle liner notes originali di questo album, una parte del suo successo è dovuta al saper gestire gli affari e al concepire la sua musica come un prodotto da proporre, senza ovviamente perdere di vista la bellezza, la ricerca e la personalità. Oltre a incidere sulla parte finanziaria e d'immagine dell' Horace Silver Quintet, questa visione incide sulla musica stessa. Musica armonicamente e strutturalmente anche molto complessa (un titolo come "Nineteen Bars" è esplicativo), ma che il gruppo riesce a rendere immediata. Poche note, note scelte con cura, molta melodia e molto ritmo. Non s'è mai sentito Silver o qualcuno del suo gruppo suonare tanto per suonare, senza che dietro ogni nota non ci sia un'idea.
Silver's Serenade (1963) precede l'osannato (e a ragione) Song For My Father e, pur essendo sullo stesso livello, è molto meno conosciuto e considerato. Un peccato. Un peccato perchè stiamo parlando probabilmente di un capolavoro (da 4.5 senza dubbio). Cinque composizioni del leader che i musicisti (Blue Mitchell - tromba, Junior Cook - sax tenore, Gene Taylor - contrabbasso, Roy Brooks - batteria) approcciano in "pure Horacian style". Un leader deve sapere scegliersi i suoi musicisti, e Silver lo sa fare. "Pure Horacian style", dall'inizio alla fine. Strumentisti sicuramente non fra i più famosi, ma perfetti per il sound ricercato, perfetti l'uno per l'altro. Mitchell è semplicemente la versione "trumpet" di Silver: due musicisti molto simili, che parlano continuamente con un interplay da capogiro, parlano si raccontano e soprattutto ci raccontano. Non da meno è Junior Cook: stile leggermente più contorto il suo (parliamo di differenze minime), a creare una sottile, quasi impercettibile tensione che manda avanti la baracca. Gene Taylor non emerge, è una solida base e contemporaneamente una "decorazione", un sottolineare le frasi degli altri, come un amico che è sempre dalla tua parte, ti supporta sempre. E tutto ciò è costruito sulle fondamenta swinganti di Roy Brooks, anche il suo (chissa perchè) è uno stile semplice ed efficace, che può ricordare quello di Jimmy Cobb. E poi c'è il piano di Horace... cos'altro devo dire? Un musicista incredibile, una precisione spiazzante, sound unico e riconoscibilissimo, tocco da maestro.
Giocare, questa è la parola chiave. Con la melodia, con gli arpeggi, con le strutture, giocare con il ritmo, con le pause. Temi diretti, pieni di stacchi ragionati, ognuno al momento giusto, assoli pieni di gioia, di bellezza. Sono composizioni con titoli che forse non vi diranno niente ("Silver's Serenade", "Let's Get To The Nitty Gritty", "Sweet Sweetie Dee", "The Dragon Lady", "Nineteen Bars"), ma dopo averle ascoltate, credetemi, per voi significheranno parecchio.
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