Possiamo definire Innominabile come racconto-ponte, una di quelle opere che funge da raccordo tra il primo periodo di HPL, quello dunsaniano, e il secondo periodo, quello che comprende l'esilio newyorkese e che funge da incubatrice al così detto «Ciclo di Cthulhu». Scritto nel 1923 e pubblicato due anni dopo, pur nella sua brevità è forse tra i suoi pezzi più agghiaccianti e inquietanti. La sua potenza sta nel fatto che nello scritto c'è quasi tutto Lovecraft, ed è un esempio magistrale della sua creatività, che oscilla tra contraddizioni e certezze, materiale e immateriale, scienza e magia. Il protagonista è Randolph Carter, uno degli alter-ego di HPL, che qui appare per la seconda volta.
La vicenda verte su di una querelle tra Carter e un suo amico, Joe Manton: sognatore, esploratore dell'insondabile e convinto del fatto che esista l' «innominabile» uno; prosaico, credente eppure superstizioso, ascritto nelle categorie che sono del cittadino medio l'altro. Il racconto si regge su questo scontro di idee, e si articola sulle contraddizioni stesse dell'animo dell'Autore. Troviamo infatti il suo attaccamento per i manufatti del passato, comprese lapidi e camposanti, la sua passione per l'architettura coloniale e la ricostruzione storica (esemplificata anche dalla citazione di Cotton Mather), ma c'è anche il suo orrore per l'oscurantismo dell'epoca puritana, la cocciutaggine dei suoi pensatori, l'ipocrisia delle sue promesse. Amore e odio per l'età coloniale dunque, una tensione che corre parallela all'altra dicotomia del racconto, quella tra scienza e fantasia, tra forma e amorfismo, tra certezze e timori. Anche in questo caso Lovecraft gioca coi suoi alter-ego, si diverte nell'argomentare le posizioni antitetiche, e introduce l'argomento horror in maniera analitica e quasi casuale, presentandolo come ingrediente di un racconto fittizio sul quale i due amici stanno discutendo. Questa storia, scritta da Carter, si impernia su di una vicenda spaventosa avvenuta all'inizio del XVIII secolo, in piena età puritana, che ha per protagonisti un vecchio, un ubriacone e una creatura orrenda cresciuta di nascosto nella soffitta di una casa isolata, circondata dal silenzio di tutti coloro che in realtà sapevano e mormoravano. Un'aberrazione che sembra nata dalla paura e dall'obbedienza imposta da una cultura ottusa che pretende di salvare l'uomo del Demonio.
Qui c'è tutta l'ossessione di Lovecraft per il sommerso del privato, per l'orrore che i muri possono celare, per l'esperienza diabolica degli anziani, per l'angoscia che affonda nel passato. C'è anche il terrore per l'estraneo, l'ignoto, e, nella scena finale, vediamo emergere anche quell'intolleranza per il materiale e per la forma che giungerà a pieno compimento solo molti anni più tardi, con le creazioni più malate di HPL, quelle che si riversano in un tunnel sotterraneo o che si volatilizzano senza lasciare traccia una volta morte. Non ci viene detto chi è il mostro, perchè esso è nato e neppure perchè uccide, non sappiamo chi sia suo padre; tutto è lasciato nel vago, suggerito, anzi riportato da Lovecraft con l'ausilio di uno dei suoi artifici favoriti, ovvero il diario dal passato, che ci consente di intravvedere realtà d'incubo senza farcele comprendere appieno. Uno stratagemma che rende ancora più opprimente la tensione, già accresciuta dal fatto che Lovecraft si dimostra sempre metodico e inesorabile nella narrazione dei suoi orrori.
Personalmente trovo che Unnamable sia una delle sue opere fondamentali, e, come racconto del terrore, uno dei più riusciti. Interessante perchè aiuta a ripercorrere il percorso formativo di questo Autore, dai primi toni gotici sino al cosmic horror che sarà la sua fortuna; per capire che HPL non è solo Necronomicon e Cthulhu, e che i suoi orrori non si riversano su di noi solo dai millenni o da dimensioni incalcolabili, ma che infettano il nostro passato recente e quindi il nostro futuro, il nostro quotidiano e l'interno delle nostre stesse case.
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