Nel 1926 Lovecraft torna a Providence da New York con una consapevolezza nuova. Ha ormai compreso che lui non è fatto per il mondo in cui vive, che i veri vincitori sono i meticci, gli immigrati e gli stranieri che tanto lo inorridiscono, ha capito di aver fallito come lavoratore, come marito e come scrittore. “Sono vivo solo a metà”, scriverà a un amico circa un anno dopo. E infatti col ritorno nel New England la sua vita, intesa nel modo più banale e prosaico del termine, è praticamente finita.

E' proprio allora che si spalanca l'abisso: questo mondo gretto e infetto viene ridotto a un mero incidente, al trascurabile capriccio di entità e forze talmente profonde i sconosciute da sfuggire a qualsiasi comprensione. La gloria dell'uomo e del suo progresso è pura illusione, la metafisica, le scienza e la religioni sono tenere favole che cercano di spiegare questa inutile aggregazione di atomi che noi chiamiamo vita.

Il primo, grande manifesto di questo nichilismo è “The Call Of Cthulhu”, 1926. In esso la concezione del fantastico in HPL si fa del tutto originale, totale, insuperata. Ci viene raccontato che un orrore inimmaginabile è in agguato nel profondo degli oceani, che in una città da incubo persa nella notte eterna esseri innominabili aspettano la loro rinascita. E che un culto degenere, misterioso e antichissimo, portato avanti dagli stranieri negroidi e meticci che tanto suscitavano disgusto in HPL, cospira da millenni per fare sì che il ritorno dei Grandi Antichi possa avvenire.
The Call Of Cthlhu segue la lenta discesa del professor Thurston nei meandri di questa realtà da incubo. E' un processo lento e graduale, analitico come analitica è la mente degli eroi lovecraftiani, degni alter ego di HPL stesso, invariabilmente insignificanti, sensibili e impotenti perdenti di fronte alle enormità che si trovano a fronteggiare. Eroi che spalancano finestre sull'abisso e ne rimangono annichiliti.

Stilisticamente il racconto si struttura in modo rigido e a volte spesso faticoso nonostante la ricchezza degli spunti e le numerosi ambientazioni differenti; il fatto che tutto ciò venga narrato come facente parte di uno pseudo manoscritto/testamento è peraltro funzionarle alle devastanti fiammate descrittive che sono tipiche dello stile di HPL e che di certo rendono le sue visioni così eccessive e memorabili. Il racconto è di fatto un delirio, ma un delirio freddo, calcolato, asettico e paradossalmente tutto improntato all'immaginazione: quelli di Lovecraft sono “orrori della mente e null'altro”, non sono teorie e nemmeno metafore. Lovecraft non propone nessuna soluzione filosofica, non cerca la verità, non si sogna nemmeno di fare proseliti. Il suo ideale letterario è la negazione totale del realismo, il trionfo del sogno e dell'immaginazione; in questo è chiaro e palese, nel suo stile così come nell'immenso carteggio che rappresenta praticamente tutta la sua vita.

Certamente non sarebbe difficile trovare simbologie negli elementi chiave del racconto e usarle per sviscerare la psicologia lovecraftiana: chiunque abbia un minimo di nozioni di psicoanalitica sa benissimo che il mare, la città, la creatura che dorme del profondo rappresentano suggestioni e hanno significati ben precisi nell'interpretazione della psiche e dei sogni. Ma si tratterebbe di un esercizio un po' fine a sé stesso. E poi il fantastico per definizione richiede abbandono, sogno, ci chiede di rinunciare per un attimo alla nostra vita, al nostro sentire, alle spiegazioni e alle risposte. The Call Of Cthulhu lo fa tramite la rigidità del romanzo epistolare e la fredda analisi del reperto autoptico; Lovecraft non ci tuffa semplicemente nel marasma ribollente dell'ignoto, ma scava con scientificità un pozzo artesiano per raggiungere un livello di orrore sfrenato mai più superato.

The Call Of Cthulhu è un racconto senz'altro datato, che non fa “paura” nel senso più gretto e banale del termine e il cui lento climax non crea certo la grande suspense che un lettore moderno si aspetta. L'idea che ci comunica è quella di un incedere inesorabile, su cui i personaggi non hanno alcun controllo, un gorgo che tra l'altro non conduce nemmeno a una reale finale né a una conflagrazione. Non c'è fine perché non c'è inizio; gli Antichi sono stati, gli Antichi sono, gli Antichi saranno, l'uomo è solo un incidente, un ridicolo giullare che si illude di avere un controllo su se stesso. Questa è in definitiva la tragica grandezza di Lovecraft: rifiutato dal mondo degli uomini, si vendica riducendolo a una nullità.

Che lui ci credesse sul serio è difficile dirlo; oggi un personaggio come Lovecraft sarebbe più che mai un fallito disadattato, un recluso paranoico. Ma anche in vita il senso di insoddisfazione per tutto ciò che lo circondava, il disgusto perenne per la società che lo aveva generato, erano sentimenti costanti e dolorosi. Non cadde comunque mai nella disperazione, non perse mai la sua affabilità, la sua correttezza, la sua lucidità. Fu amato e ammirato, e la sua leggenda nacque senza che lui se ne rendesse conto, mentre già il suo corpo fisico sprofondava nell'annullamento. Se la sua visione è qualcosa di tutto sommato patetico e detestabile, vi è qualcosa di eroico nel suo netto “NO” alla vita, nel suo incanalare questo disprezzo in visioni talmente eccessive, distanti e laceranti da risultare tutt'ora insuperate. E' per questo che Lovecraft è lo Cthulhu che dorme sognando negli abissi del fantastico, i cui sogni condizionano gli uomini, le cui architetture sghembe e aliene affiorano un po' ovunque nei meandri della mentalità fantastica occidentale.

Ma non è tutto. Lovecraft non era un profeta; ma di fronte al mondo che lui disprezzava e che noi conosciamo e nutriamo, di fronte al fiorire di questo quasi secolo che ci separa da lui, un'inquietante consapevolezza fa capolino, qualcosa di appena accennato che HPL aveva già intravisto:

“loathsomeness waits and dreams in the deep, and decay spreads over the tottering cities of men”.

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