Subito sono stato assalito dal dilemma quando, spinto dall'entusiasmo, non sapevo con quale dei due LPs degli H.P. Lovecraft, avrei voluto onorare la "stalla bovina" di Debaser. Non me ne vogliate per la metafora zootecnica, più o meno tutti siamo stati tentati almeno una volta di "ruminare" la nostra antipatia nei confronti del vicino di "mangiatoia", rischiando di farci sbattere fuori tra i "verdi campi" a fagocitare "ortiche" in compagnia della mandria, per poi reincarnarci nel "bovino" dal nome nuovo, chiusa parentesi.
Dopo non poche perplessità, la scelta è caduta sul loro secondo lavoro, ma solo per una piccola differenza e cioé che l'album d'esordio, rispetto al secondo, si sorregge anche con l'apporto di due pilastri della canzone d'autore americana, Randy Newman con "I've Been Wrong Before" e Fred Neil con "That's the Bag I'm in" e "Coutry Boy & Bleeker Street", in più, con l'inno hippie "Get Together" di Dino Valente, che nella versione degli H.P. Lovecraft acquistano una nuova identità, oltra al fatto che l'album rimane più strettamente legato allo stile formativo del r&b-soul-jazz di Chicago. In "H.P. Lovecraft II" invece, creato l'anno dopo nel 1968 a San Francisco, è evidente quale fosse l'aria che tirava sotto il cielo azzurro della California, fra improvvise bordate di "piogge acide" e "brezze weastcostiane", si interponevano gli umori climatici provenienti dalla metropoli grigia e fumosa dei Grandi Laghi. Gli H.P. L. toccarono la vetta più alta della loro breve carriera, con questa seconda e ultima prova, non attraverso un'evoluzione stilistica vera e propria, ma dilatando le capacità creative già espresse precedentemente nella profusione della dimensione psichedelica della musica rock di fine '60, ancora molto in voga in America.
Gli H.P. Lovecraft, il nome è quello del celebre scrittore americano Howard Phillips Lovecraft, a cui si ispiravano, si formarono nel 1967 a Chicago, la line-up era costituita dall'ex folksinger George Edwards, (voce, chitarra acustica-elettrica) e Dave Michaels, (voce, organo, piano, clavicembalo, clarinetto, recorder), si aggiunsero Tony Cavallari (voce, chitarra solista), Mike Tegza (batteria, percussioni), Tom Skidmore (basso) che lasciò presto il gruppo per essere rimpiazzato da Gerry McGeorge (voce, basso) ex chitarrista degli Shadows of Knight e per sua defezione prese il posto definitivamente, il bravo Jerry Boyan (voce, basso). Il genere è strutturato da un rhythm-folk dal forte influsso soul, dovuto all'attitudine dei suoi due bravissimi cantanti solisti, il tutto, immerso nell'effettistica psych dalle conseguenze magnifiche. Nove splendide tracce pervase da un lirismo profondo, in cui si annidano l'essenze olfattive di tutta la cultura musicale americana, sono nobilitate da cupi costrutti armonici stagliati dal canto vitale e incisivo tecnicamente ineccepibile dei due leader, che intonano melodie in cui aleggiano umori black-gospel. Nove splendide tracce, dove è impossibile trovare punti deboli, fanno di questo album un capolavoro assoluto, uno dei massimi paradigmi, tra i più sublimi della psichedelia statunitense.
La conferma arriva subito dal brano d'apertura, la toccante "Spin, Spin, Spin", "manifesto" che ci introduce nel mondo emozionale degli H.P. Lovecraft e "It's About Time", un r&b che fluisce liquefandosi in divagazioni psych sopra un tenue tappeto d'organo, sono due composizioni dell'amico di Edwards, Terry Callier. La melodica "Blue Jack of Diamonds" annunciata a rintocchi da un'autentica campana ottocentesca, è un canto malinconico dai tratti funerei in sintonia con le tematiche fantasiose dello scrittore di Providence. "Electrollentando" è un mantra crepuscolare, una sorta di sogno nebbioso, emerso dalle profondità inconscie per mezzo di suggestioni allucinogene. "At the Mountains of Madness" è una trasposizione dell'omonimo racconto dell'"illuminante" scrittore, un canto lamentoso perso in un collage di suoni scombinati che addensano uno spazio abitato da strane e inquietanti figure. Il valzer di "Mobius Trip" è la culla sognante per un viaggio cibernetico. "High Flying Bird" si pone sulla scia dei Kaleidoscope di "A Beacon from Mars". E i 39 inquietanti secondi di "Nothing Boy" alzano la tensione vertiginosamente per stemperarsi nell'ultima traccia "Keeper of the Keys", marcetta celebrata con impeto tenoristico, che chiude il cerchio ad echi riverberanti. Gli H.P. Lovecraft si sciolsero agli inizi del 1969, lasciando ai posteri un piccolo tesoro nascosto fra le derive del tempo. Qualcuno assserisce, che contano solo coloro che passano al vaglio della storia. Ebbene, cosa interessa a noi tutto questo, quando nel setaccio delle nostre illusioni, troviamo impigliati i bagliori di un gratificante miraggio?
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