L'incredibile proliferazione di cover e tribute bands degli ultimi anni dimostra non solo una caduta verticale della "creatività" (qualunque cosa questa parola significhi), ma anche quanto il pubblico, al limite della catatonia, sia ormai ricettivo solo al "già noto".
In altri casi, soprattutto quando la cover è eseguita da gruppi affermati o che aspirano ad esserlo, essa serve a millantare illustri influenze e rinomati padri spirituali, naturalmente quasi sempre inesistenti.
Tuttavia non sempre il panorama è così arido. Per pochissimi fuoriclasse la cover è un banco di prova su cui testare la propria inconfondibile personalità. Esistono bands che hanno la capacità di rendere propria ogni composizione altrui, tanto che ben difficilmente ci si rende conto spontaneamente della riproposizione in atto.
Il corollario di questo principio è che difficilmente un gruppo qualsiasi riesce a coverizzare brani di questi eccellenti artisti senza che l'ascoltatore si accorga che quella non è farina del loro sacco.
Un esempio eclatante? Chi mai senza saperlo potrebbe dire che "Police on my back" o "I fought the law" non sono brani originali dei Clash (originariamente composte rispettivamente nel 1967 e nel 1958!!).
E per converso: avete mai sentito qualcuno fare una cover di un pezzo originale degli stessi Clash senza che questo suonasse invariabilmente come una minestrina riscaldata? Anche il lettore meno smaliziato avrà capito dove voglio andare a parare.
"Eight Miles High" è stato uno dei più riusciti singoli dei Byrds. Edito nel 1966, ed è uno dei brani dove più è evidente la vena psichedelica della band di Roger McGuinn.
Lo stesso brano, inciso alla fine del 1983 ed uscito nei primi mesi del 1984 per la SST di Gregg Ginn, rappresenta uno dei vertici espressivi della band chiamata Hüsker Dü.
La visionaria 12 corde di McGuinn e il suo cantato ispirato si trasformano, nelle mani di Bob Mould e soci, in un tagliente e compatto muro del suono e in un'interpretazione sofferta e piena di pathos.
Ancora: la magnifica successione di momenti più lievi, in cui gli strumenti sembrano ribollire, ad altri ove la furia ormai definitivamente post-hardcore del tre Huskers si riversa sull'ascoltatore, mantengono un livello di tensione difficilmente eguagliabile in questo campo.
I tre di Minneapolis riescono a rendere "altro" questo brano, che pur proviene da una formazione piena di personalità e talento, facendo diventare questa versione definitivamente "cosa propria".
Una capacità che dimostra ulteriormente, semmai ce ne fosse bisogno, la grandezza di una band non alla portata di tutti gli ascoltatori.
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