Anno 1984, questo disco credo sia il lascito più splendente e più compiuto dell’era punk, e il termine hardcore è solo un pretesto.
3 ragazzi: Grant Hart (batteria), Greg Norton (basso), Bob Mould (chitarra flyng V e voce) 23 canzoni , metà scritte da Bob Mould, l’altra metà scritte dall’altro leader Grant Hart.

Sembra assurdo per gli standard del punk, ma questo è un concept album alla The Wall, si esplora la realtà del ragazzo del post punk, dall’adolescenza alla maturità... una realtà graffiata da spasimi di vita e morte in un istantanea in collisione.
Vorrei provare a ripercorrere il disco con le emozioni che mi suscitarono le prime volte che ascoltai il capolavoro: si parte in picchiata, rombo di basso e chitarra che subito sprigiona il caratteristico wall of sound mouldiano (Cobain non ha inventato proprio nulla): Something I Learned Today e Broken Home Broken Heart, uno due al napalm che lascia da subito senza fiato. Il terzo pezzo inaspettato per una band punk hardcore come gli Hüsker, Never Talking To You Again, è una ballata folk, sintomo di una band senza compromessi. Chartered Trip è circolare nella tessitura dei giri chitarristici, poi i nastri mandati all'incontrario di Dreams Recourring svelano il tormento del kid post punk e si scende al punto di non ritorno, si scende nell’inferno psichico dell’adolescente attraverso incontenibili e furibondi squarci dell’alienazione che colpisce il ragazzo tra i 13 e i 17 anni direbbe Jung... Sono anime che scoprono le pulsioni del loro corpo quando i primi peli vedono la luce sotto le ascelle... e assicuro i genitori dimentichi del fatto che ci son passati pure loro che si tratta di pensieri e comportamenti profondamente schizzati ma tremendamente normali perché naturali.
Come i pezzi che sentiremo ora, Hare Krishna, vero e proprio rito di iniziazione alla vita violenta, Beyond The Threshold è scoprire con stupore una prima pulsione sessuale, pride è il desiderio che quella carica sfoci in qualcosa, I ’ll Never Forget You e Biggest Lie sono la catastrofe di ogni corpo che insoddisfatto distrugge attraverso appunto la soddisfazione pan-sessuale che può essere anche prendere a pugni un coetaneo come Jung e Freud ci spiegarono. Uno dopo l’altro gli Hüsker Dü ci sparano a insostenibili ritmi questi affreschi vitali dell’adolescenza animale più brada, pervasi dalle pulsioni di violenza e di morte a livelli di ebbrezza maniacale, subgenitale. Questa è un anima che impreca, si agita, bestemmia nel dolore che si sente dentro un corpo nuovo che non si conosce. Si narra che alla fine di questa sestina di pezzi hardcore i 3 sfasciassero lo studio di registrazione a colpi di sedie talmente era enorme l’epilessia e l’energia in circolo... ascoltare per credere.
What’s Going On allenta le vertigini un poco, ma voliamo sempre in alto, delle volte in mancanza d’aria, l’intensità non accenna a diminuire, ritmo honky-tonk e testo gridato in coro con una foga entusiastica e molto ma molto punk old style. Gli strumenti sembrano martellati piu che suonati, l’atmosfera poi si fa caotica con gli strumenti che vanno e vengono, la chitarra che se ne va per i cazzi suoi, e cosi la imitano batteria e il piano honky tonk, con trovate riecheggianti i Velvet Underground di Waiting For The Man, sublime. Masochism World è la definitiva acquisità maturità (o convinzione nei propri mezzi) del ragazzo, è potenza di fuoco che annichilisce tutto il punk del 77 e giù di lì. Masochism World è l’effetto di 120 grammi di cocaina sparati in narice, voce sgolata che grida come Dio si rivolgerenne a noi dall’alto in basso,fulmine (sembro D'Aguanno cazzo... ma è dura mantenere il contegno).

A questo punto siamo disfatti, menomale che arriva Standin At The Sea come un bagno di sali calmanti sulla nostra pelle che scotta di pulsioni incontrollabili, sarà il caso che i genitori rinchiudano il figlio in qualche istituto di correzione, magari di quelli che ti rapinano via l’assicurazione per poi dire “suo figlio è guarito e può essere di nuovo inserito con profitto nella società”. Un giovane non ci sta a questo stato di cose, ma ormai è maggiorenne, riesce a contenere le proprie emozioni anche se non sempre, e per quelle più selvagge se costruito una gabbia amica (il super io) con cui porre freno, e anche l’incedere della musica ne risulta più tranquillo anche se mai domo: Somewhere è finalmente nella norma, ritornelli belli e orecchiabili, ma scordatevi l’integrazione... quella mai.
Intermezzi strumentali immaginifici come One Step fanno da contorno alla storia, come rivelazioni interiori che fortificano il nostro. È la volta di Pink Turns To Blue, testo criptico, per una delle song più grandi degli Hüsker Dü, maestose muraglie celestiali di chitarra, splendidi i giri armonici, Wall Of sound zuccheroso che è una magnificenza perdersi ogni volta, il fascino misterioso che emana questa song non si assopirà mai. A ruota newest Industry, altra melodia superba, il punk si è diplomato e ha raggiunto la sua maturità. Altro intermezzo, stavolta pianistico, Monday Will Never Be The Same. Whatever, immensa e con un altro ritornello memorabile.

Gli Hüsker sembrano scodellarci pezzi grandiosi così dal nulla, come Gesù moltiplicava pesci.
Penultimo brano: non ancora paghi di quello che ci hanno fatto ascoltare ecco un altro assalto frontale, un altro inno punk da gridare in coro tutti assieme... Turn On The News, per me in questo pezzo è tutto perfetto: propulsione gagliarda e avvincente, riff da cardiopalmo, altro ritornello devastante (i ritornelli si sprecano), e chiusura reboante da fine del mondo. Pezzo finale: ma che dico pezzo... catarsi apocalittica, Reocurring Dreams disegna i contorni dell'angoscia, e lo fa per 14 minuti, 14 minuti di vertigine psichedelica, la muraglia emo-core della chitarra di Mould si avvita su se stessa serbando ora scariche abrasive di lancinanti feed-backs, e il tutto non in modo casuale e free ma con un tema centrale ben definito: sta qua la grandezza, si e scomodato il free jazz o i Velvet Underground per trovare uno sbocco a questo caos impazzito di 14 minuti, il tema centrale si contorce su se stesso e si lascia anche andare a sbrodolate free-core (che brutto termine!!) ed il tutto per enfatizzare la psiche deragliata della generazione punk.

Questo caos finale testimonia che non c’è via d’uscita al malessere, non pare proprio un happy end, recourring dreams, sogni ricorrenti... non si esce così facilmente dalle proprie fantasie tormentate. Oh Oh... ho leggermente superato le 30 righe... ma come si fa a non superarle se si vuole parlare di Zen Arcade?

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