She thinks she missed the train to Mars, she’s out back counting stars
Con sommo dispiacere e sconforto qualche giorno fa mi sono reso conto che su Debaser NESSUNO ha mai scritto una recensione sugli Hum.
Eppure ascoltando questo loro secondo secondo lavoro è lampante come abbiano influenzato un gran numero di gruppi che spesso hanno ottenuto molto più successo di loro.
Ma chi sono questi quattro nerdoni? Gli Hum si formano a fine anni ottanta a Champaign, Illinois, e dopo aver pubblicato un demo e un primo album, Electra2000, che dimostrava le ottime capacità dei membri ma che soffriva di una tracklist altalenante e di una produzione non all’altezza, pubblicano questo "You’d Prefer An astronaut" nel 1995.
Con questo album il loro sound si fa più compatto e incorpora delle forti influenze shoegaze (Red House Painters e Codeine su tutti) abbandonando parzialmente il post-hardcore degli esordi.
Non è facile però determinare delle coordinate stilistiche in cui posizionare gli Hum, ascoltando questo lavoro ho anzi più volte pensato a come abbiano, senz'altro involontariamente, creato degli stilemi seguiti poi a menadito dalle migliori band Alternative e Nu Metal che si formarono negli anni della sua pubblicazione, Deftones su tutti. Lo stesso Chino Moreno ha inserito "You'd Prefer An Astronaut" fra i suoi album preferiti, e infatti c'è tutto: riff metal compatti e pesanti, voce sognante e testi surreali.
Le danze si aprono con "Little Dipper", perfetta opener, potente e diretta e fra le migliori del disco. Si notano subito le caratteristiche fondamentali del gruppo: una batterista preciso e fantasioso, un basso che, più che seguire la linea della chitarra, crea a sua volta una melodia (cosa che adoro) e la voce del cantante e chitarrista Matt Talbott, che non è assolutamente nulla di speciale; infatti più che cantare Talbott si limita a mormorare i suoi testi surreali e romantici (che spesso hanno anche a che fare con l'astronomia) il che rende perfettamente il senso generale di malinconia che permea ogni canzone ("Suicide Machine", "I Hate It Too"), alternando raramente con urla che rimandano alle loro origini hardcore. Seguono poi alcune fra le migliori canzoni mai uscite negli anni 90', "The Pod", la bellissima "I'd Like Your Hair Long" ma soprattutto il singolone "Stars", ovvero la canzone che, con il suo modesto successo radiofonico dovuto ad un comparsa in "Beavis And Butthead" e in una pubblicità della Cadillac, portò questo disco a vendere quasi 250.000 copie negli USA. "Stars" è la canzone perfetta, dotata di riff meravigliosi e un crescendo epico fra feedback e muri chitarristici. Il gruppo arrivò anche a suonarla dal vivo su Mtv 120 Minutes e al Late Night Show di Conan O'Brien e da questi live si capisce perfettamente perchè non riuscirono ad ottenere il grande successo che si sarebbero meritati, non perchè non fossero in grado di riprodurre le canzoni con fedeltà e passione (anzi, da questo punto di vista erano fantastici) ma più che altro per l'immagine. In anni in cui per attirare l'attenzione dovevi avere un cantante belloccio e un po' incazzato che facesse presa sugli adolescenti (che ha detto Nirvana?) è chiaro che un frontman rachitico con occhiali a fondo di bottiglia che canta guardando in basso non attizzava più di tanto le fantasie delle ragazzine alternative.
Fatte queste considerazione è comunque d'obbligo ribadire come questo sia un album incredibilmente innovativo e avanti col tempo, soprattutto in un'epoca in cui c'era praticamente solo il grunge, e di come gli Hum siano fra le band più sottovalutate di sempre, pur avendo fatto uscire tre album fra i migliori degli anni 90'; pubblicheranno infatti nel 1998 il loro terzo e ultimo lavoro, "Downward is Heavenward", incredibile come questo, se non di più.
Se non li conoscevate, conosciateli.
And so I give myself away, to everybody everyday
And so I give myself to you, and you need it more than I do
And so I give myself away, unto everybody everyday
And so I give myself to you, and you need it more than I do
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