Benvenuti nell’oscuro (ma non troppo) mondo degli I Am Ghost. Ancora in pochi li conoscono, e in molti si saranno chiesti: “Cosa riporta il biglietto da visita di questa band?”. Ecco la risposta.
Provenienza: Long Beach, California. Label: Epitaph Records (famosa per aver pubblicato i dischi di Bad Religion, Pennywise, Nofx e Rancid). Passioni: film horror, vampiri, Halloween, novelle di Stephen King. Componenti: Steven (vocals), Tim (guitar hero), Gabe (chitarre), Kerith (violino, vocals), Ryan (drums), Brian (basso, piano, backing vocals). Influenze: piuttosto svariate; passiamo dall’emo al punk/rock, dal gothic al post–hardcore. Similitudini: nessuna in particolare, sebbene la label tenti di spacciarli come un gruppo ideale per gli appassionati di Afi, Aiden, Him ed Avenged Sevenfold.
Gli I Am Ghost potranno sembrare a molti l’ennesima trovata dei media, ideata per attecchire sui sempre più numerosi teenager americani in balia di crisi di personalità e ciecamente convinti di ascoltare musica alternativa (pubblico grazie al quale la scena emo è fiorita negli ultima anni creando una folta schiera di band poco ispirate). Guardate il look particolarmente curato e “vampirico” dei singoli membri, ma non dubitate della sincerità dei nostri; capirete ben presto che esso è soltanto metafora di un’arte sincera e raffinata. I californiani I Am Ghost, dopo alcuni anni di gavetta nell’underground, debuttano così con l’album “Lover’s requiem” (2006), successore del fortunato Ep “We are always searching”, foriero dell’improvviso successo in patria in compagnia dell’elemento chiave per la promozione di una band nel nuovo millennio, Myspace. I nostri sono tuttavia lontani dalle trovate mainstream di My Chemical Romance e proseliti e presentano un sound abbastanza originale ed avvincente. Eh sì, è proprio il caso di dire che non sempre il vocabolo orecchiabilità va a braccetto con ripetitività, scarsezza di valore o mancanza di capacità artistiche. E poi, parliamoci chiaro a scanso di equivoci, di influenze pop qui proprio non ne troverete.
Qualcuno potrebbe smorzare il vostro entusiasmo affermando che è più che evidente che questi sei ragazzi non stanno inventando nulla di nuovo, ma allo stesso tempo chiunque potrà facilmente constatare il potenziale della loro proposta fatta di brani scaltri, diretti, orecchiabili ma costantemente divisi tra melodia e violenza ed impreziositi da liriche particolari e mai scontate. Se proprio siete curiosi, fatevi un’idea del loro sound ascoltando “Our friend Lazarus sleeps” (l’apripista dell’album che segue ai funebri cori dell’opener “Crossing the river Styx”), accattivante, rabbiosa e melodica al punto giusto, ma forse poco propensa a mostrare tutte le sfumature del sound della band, che in seguito emergeranno senza difficoltà. Anche la preparazione tecnica dei singoli componenti è indiscutibile; tutti gli strumentisti sanno come picchiare duro e colgono sempre il momento adatto per lanciarsi in parentesi solistiche, le clean vocals dominano la scena e le dosate parti in scream infondono ai brani un senso di gotica dannazione e nevrosi mentale. L’alternarsi di Steven e Kerith al microfono, così come i loro duetti, è veramente apprezzabile, ma infine è il cantato maschile caratterizzato dall’alternanza di melodie agrodolci e graffianti screamo a prevalere.
Il violino impreziosisce le parentesi melodiche donando anche un tocco romantico al mood generale (sebbene il volume riservato alle sue linee risulti a volte poco incisivo); ecco il principale fattore in grado di discostare gli I Am Ghost da qualsiasi altra band dedita a questo genere presente sul mercato (in confronto a loro, gli Afi sembrano dei dilettanti).
I brani che risaltano maggiormente sono l’anthemica ed allegorica “Dark Carnival of the Immaculate”, con la sua irresistibile carica punk/rock, la grottesca e rabbiosa “Of masques and martyrs”, la gotica “The ship of pills and needed things”, la sepolcrale “The denouement” e la malinconica ballad “This is home” (nella quale Kerith può finalmente dare sfoggio delle proprie capacità interpretative), intervallate a loro volta da episodi altrettanto validi e coinvolgenti.
Per concludere in bellezza, tutte le particolarità della musica degli I Am Ghost vengono sapientemente riassunte in “Beyond the hourglass”, vera e propria perla di questo platter, che nei suoi sei minuti di durata condensa nere emozioni e rabbia domata, lanciando allo stesso tempo un messaggio positivo.
“Lover’s Requiem”: segnatevi questo titolo, un buon compromesso per ascoltare qualcosa di non troppo impegnativo ma per lo meno diverso dai soliti gruppi rock che spopolano nei circuiti mainstream. Con tutta la mia fiducia per il futuro riposta in questa formazione, sono quasi del tutto sicuro del fatto che gli I Am Ghost non siano destinati a rimanere una semplice meteora della fantomatica scena “estrema” statunitense e che, con il giusto sostegno, potremo vederli un giorno accanto a nomi ben più blasonati, quando finalmente ci saremo lasciati alle spalle tutti quei gruppetti di serie b che tra qualche anno soccomberanno a nuovi trend, cadendo miseramente nel dimenticatoio.
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