Questo degli I Am Kloot aI Rainbow potrebbe inaugurare a buon diritto il forum sul posto più brutto dove aver visto un concerto: all'ingresso il locale si presenta quasi vuoto e l'impatto è davvero desolante.
Come se non bastasse, mentre lo spettro del lavaggio strade aleggia sulla fredda serata milanese, scopro che ci sono ben due gruppi di supporto a separarmi da loro. I primi sono i Kech, italiani, anche se pronunciano il lore nome come cash (mah...), che propongono un college rock abbastanza di routine, con voce femminile in evidenza.
Seguono gli Indigo Jones, di Manchester anche loro come gli I Am Kloot, che letteralmente si perdono in un bicchiere... di whisky, a giudicare dallo stato del cantante. Effettivamente non mi sbagliavo, poco dopo il whisky è il tema principale di una loro canzone. In sostanza una voce che emula un po' troppo Cat Stevens, qualche canzone buona senza esagerare, e per il resto ballate tendenti al country piuttosto incolori che arrivano anche a plagiare la What's Up di 4 Non Blondes.
Iniziano finalmente gli I Am Kloot: il frontman Johnny Bramwell come già ad Urbino si dimostra perfettamente a suo agio mentre scherza con il suo pubblico dal palco, e ci tiene ad essere capito: can you understand me? yes?. E qui appare già chiaro come per godersi in pieno il concerto sia essenziale prestare particolare attenzione ai testi.
Ma cosa significa Kloot? Bramwell ci spiega che the essence of klootness is love, drink and disaster. Ah ecco! Fino a quel momento pensavo significasse congelamento... nonostante Time Out London ripeta catch them before they conquer the world, qui il pubblico accorso a vederli è scarso, ed è evidente quanto il locale punti sul "riscaldamento umano"!
Il trio si presenta in modo essenziale nella tipica formazione voce/chitarra, basso e batteria e propone brani dai due album all'attivo, il debutto Natural History e il recente omonimo. Sono musicisti eccellenti, capaci di vestire una semplice canzone pop di una incredibile varietà di atmosfere, aggiungendo di volta in volta venature blues come in 86 TV's o jazz come nella splendida A Strange Arrangement Of Colour, senza alcuna pretesa di essere originali a tutti i costi. Il tipico birignao mancuniano (beccatevi la pronuncia di shower in Storm Warning) farebbe venire in mente gli Oasis in alcuni episodi, ma l'inganno è presto sciolto: ci si stupirebbe di tanta intelligenza provenire dai fratelli Gallagher.
Se poi su disco sono vittima di una certa opacità forse dovuta ad una produzione troppo attenta ad infilarli nel calderone del New Acoustic Movement, il live set, forte di un batterista fenomenale, restituisce un suono grezzo e tagliente e mette in evidenza una voce dotata di una profondità ed una gamma espressiva eccezionale, che ben si sposa al cinismo dei loro testi (su tutti Twist: there's blood on your legs... I love you).
Passata abbondantemente la mezzanotte sono in fuga dal Rainbow, mentre Bramwell ringrazia il pubblico per averli preferiti a those bloody awful Muse. La macchina è come sempre di fronte all'ingresso e... niente multa, fiuuuuuuuu! L'apocalisse non mi è mai sembrata così lontana...
Carico i commenti... con calma