Tipo due ore fa è uscito a sopresa il quarto disco dei Cani. Ora che sono passati 9 anni dall'ultimo album, durante i quali il pop italiano universitario è diventato lo strumento di potere sovranista che tutti conosciamo mentre le pagine meme sul quarto disco di Contessa sono state risucchiate nelle stesse sabbie mobili che si son portate via l'intera redazione di Vice Italia, siamo pronti ad ammettere che di quel periodo privilegiato in cui essere stronzi e avere una bacheca Facebook cool pagavano non resta più un cazzo, proprio pù un cazzo.
Il primo disco fu importante più sul piano sociologico che su quello musicale, proprio perchè era pop di merda fatto con tastiere di merda che parlava di gente di stramerda a tutti gli effetti esistente – neofascistoidi dei Parioli con la passione per Dan Deacon e le lame e che vivevano l'adolescenza di piazza a Roma Nord col senso estetico di un hipster di Williamsburg. Il narratore parlava come un rancoroso pazzesco, col solito complesso del borghese di sinistra che odia se stesso ma amplificato a livelli dinosaureschi. Quantomeno finché le melodie e la violenza proto-incel hanno spinto, la formula ha tenuto.
Dal secondo disco è iniziato il declino: le canzoni dei Cani dal 2013 ad oggi si sono mosse sull'onda lunga di una profonda depressione post-coitale, lui che si credeva intelligente perchè canta di fisica teorica e nelle interviste tiene la t-shirt dei No Age, sagace perchè produceva Coez e sapeva che Bastonate aveva una rubrica che si chiamava dsichi, e va da sé che i suoi testi sono stati un concentrato del cliché del trentenne depressone che ascolta il podcast di Matteo Bordone (la cui voce per altro compare in "2033", una vecchia ghost track).
Contessa non ce l'ho con te, so che mi stai leggendo perchè stai refreshando Google da stamattina per stanare ogni angolo della rete e cercare ciò che la gente pensa del tuo album. Non. Ce. L'ho. Con. Te. È solo che qualcuno ti deve dire che questo giochino è durato abbastanza, che mo' ti prenderai i props di Giuse The Lizia o qualche altra supernova del scena MiAmi già sulla via dell'oblio, e che però non puoi gigioneggiare come fossi il nuovo Cremonini se, come non manchi di ricordare, a venticinque anni hai letto in inglese Infinite Jest, ché poi che cazzo ti serviva leggerlo in inglese?, forse solo per flexarlo su un'intervista al defunto XL? Ecco, Nicolò, tu sei quel periodo lì, capito? Siamo nel 2025 e ancora stai a solleticare il pubblico liberal? Davvero stai ancora leggendo i romanzi dei Ben Lerner?
Farò una cosa che fa molto Il Pratese Hipster, una gag vecchia per gente vecchia tipo noi e che si ricorda di quando hai cancellato il post della tua cover di Max Pezzali per via della tempesta di merda che ti prendesti nei commenti - ah, caro 2013, quanto mi manca il tuo mettere ognuno al suo post, a modo tuo, in questi anni di larghe intese. Recensirò il nuovo album senza averlo ascoltato, un po' perché a Nicolò je voglio bene e un po' perchè mi mancava, ma sopratutto perché sono quindic'anni che sceglie i titoli con la logica del nerd prevedibile: in "Nabokov" usavi un nome altisonante per parlare di Nabokov lei, cioè la moglie di Lui; in "Introduzione" sceglievi un titolo spot per una verboso agglomerato di seghe mentali; in tutto "Aurora" parlavi di galassie per parlare di figa. Ormai ho gli anticorpi. Ecco quindi la mia.
1 - io: ottima ballad al piano in chiave minore con tanto di intermezzo di archi, in cui sostanzialmente dice che sta bene nella sua nuova vita da padre e della sinistra non gliene fotte più niente, inoltre fa il nome dei Fontaines DC e Elon Musk;
2 - buco nero: pezzo Auroriano, citazioni colte tra Kraftwerk e Clams Casino;
3 - colpo di tosse: utilizza l'espediente estetico del pop fatto male per parlare di quanto siamo a un colpo di tosse dall'estinzione;
4 - davos: funky bianco vagamente rappato come va di moda adesso, la parte strumentale è praticamente un tipe beat di Post Malone, ma dal sottotesto melanconico, si segnala il verso "e poi ci troveremo come stronzi a Davos/ in pace finalmente/ con i soldi e la fluoxetina";
5 - colpevole: questa non mi convince, parla per simbolismi, ma si capisce che è tutta un lavarsi la coscienza per aver creato l'ondata di indie pop inoffensivo degli ultimi dieci anni;
6 - f.c.f.t - solito strumentale coi droni per farci capire che ne sa;
7 - post mortem - altro pezzo che che ci fa capire che si tiene aggiornato con le novità in ambito quantistico, su dolci accordi di tastiera digitale riflette sui concetti di buchi bianchi e che quando saremo "dall'altra parte", be' chissà, potremmo non restarci per sempre;
8- felice - solito brano passivo-aggressivo in minore in cui il titolo è preso dalla linea di testo "e chi sa se sarò mai felice come te?", dove il "te" è la figlia;
9 - nella parte del mondo in cui sono nato - prima ballata classica della sua carriera, accompagnato da una chitarra acustica e da un testo pessimistico e sollenne, tipo i Baustelle della Malavita;
10 - madre - questa parla anche lei della figlia, la madre è citata di sfuggita;
11- carbone - canzone synth-pop che paragona il declino della società occidentale al ciclo dei combustibili fossili;
12 - buio - pezzo piano e voce in cui Contessa ribadisce la sua nonché mia più grande paura: cosa ci attende dopo?;
13 - un'altra onda - 8 minuti di cavalcata per il gran finale, echi latin-funk, cambi di ritmo prog, interventi di fiati, "l'altra onda" è chiaramente quella che ci spazzerà per sempre dalla faccia della terra, quindi tutto il pezzo è una sarcastica danza macabra sull'oblio che ci attende.
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