Una notte senza sonno. Si alza da un letto che gli sembra sempre lo stesso, mentre le pareti si sono arrendevolmente dilatate, e pare che gli oggetti siano ravvivati dalle ombre. Inizia a trottare per una stanza che non è più un luogo, ma piacevole tortura, la Paura, felicemente acconciata, e pare che voglia sfidarlo al gioco degli scacchi. Non ha nome la Paura, ma un suono, circonfuso di patine antiche, adagiato su tappeti persiani, su trame musicali che chiedono sommessamente di celiare con loro: richiamo cui nello stato di semideliquio può dolcemente concedersi, perché no, e appare barcollare ubriaco.
Ma l'Angoscia, il terrore di forze infere che lacerino a bella posta l'anima lo riporta su una dimensione più umana, spaurisce e crede di essere molto debole, senza forza, cede. Qualcosa sta arrivando. Voci ora provenienti da luoghi esterni a quell'alcova proiettano mente e anima nel più composto dei deliri, è un sogno ad occhi aperti che vuole dimenticarsi da sé, pieno di zolle liquefatte che solo la mente può ricomporre, ma che la mente, imprigionata, cagiona: beato, si lascia cullare nell'ignavia e si dispera compitamente. Una divagazione tra balere e sale illuminate gli rammenta la luce, tanto soffusa da apparire inghiottita dalla Tenebra: il suono è conosciuto, il tono familiare, l'avviso è di sollevarsi dalla piccola nicchia ove prima appariva impaurito, ove prima sgranava gli occhi.
Così, in un discorso appena cominciato, ad un tratto, senza preavviso alcuno, scopre l'Estasi. E' il Paradiso, dai toni adombrati, non schiarito dalle luci artificiali che traspaiono dalle persiane. Vi è condotto per inerzia, non per scelta: la rattristata melodia di un'armonica a bocca lo costringe, non viene strappato a forza. Permane, ma il tempo lo riconduce alla reminiscenza, ancora una volta, in un vecchio night londinese che fa ancora risuonare le sue mura del blues di un tempo, ed è lecito perdervisi, seguire con movimenti del capo il frenetico ritmo della melodia, ridursi ad esecutore.
Così il carnefice, nelle vesti prima di spaventapasseri, poi di cinico tentatore, prende la parola e la getta in bocca a tante piccole vittime, che soggiogate lo invitano a prender parte in un gioco che non è arte né parte, è solo inquietudine. Voci di bambini si organizzano in un coro tanto ordinato quanto folle, cantano intonate e sottili e lo mettono in soggezione; una, due esecuzioni, poi crede, o si convince di credere, di sentire una melodia più confortante, e se così pare, finisce per esserlo, perchè in quel momento, tanto pervaso da impressioni che sono realtà, ogni opinione è il vero, e in ragione della sua immaginazione spera di poter pensare a qualcosa che non sia il Terrore. Così si lascia tentare da una sensazione e l'altra, riesce a muovere il capo e squadrare ancora una volta le profondità della sua stanza: parvenza di quiete.
Un battito ancora, e appare la fine. Eppure i luoghi rimangono ancora dilatati, il buio divora ancora le luci, risuonano ancora in lontananza le voci dei bambini. Minuti di angoscia, finché l'incubo riprende. Con delicata violenza irrompe, prosegue per un lasso di tempo, si seda definitivamente lasciando nelle sue orecchie solo un vortice fievole. Socchiude gli occhi vinto dal sonno e sogna l'Aurora.
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