Santana, 20 anni dopo.

Se dovessi descrivere I Mother Earth con un titolo di giornale userei queste parole. Ma si sa che raramente gli strilli di copertina descrivono appieno la realtà, deformandola con la loro logica piegata alla sintesi. Sarà meglio continuare, quindi.

Loro sono in 4 (i fratelli Tanna alla batteria e chitarra, al basso Bruce Gordon, un certo Edwin che canta) vengono da Toronto, Canada, e per questo esordio scomodano addirittura Mike Clink, già produttore di Guns n' Roses, Megadeth e Motley Crue.

Più importante è l'anno di uscita di "Dig": il 1993. In pieno grunge, ma non solo. Indie, crossover, l'esordio dei Tool, la pazzia di vedere in cima alla classifica i Butthole Surfers, prodotti da John Paul! In questo fertile terreno si muovono I Mother Earth, convinti però che il meglio degli anni '70 sia all'inizio, non alla fine. Sconfinando spesso nei '60. E se Santana è la fonte principale da cui attingere (quello dei primi due fenomenali album) non mancano rimandi alla psichedelia dura, come in "Undone" e "The Universe In You", lunghe jam che sarebbero piaciute sia ai Jane's Addiction che ai God Machine.

Non mancano pugnalate punk-funk (no, i Talking Heads non centrano), "Production" e "Basketball": la scuola è quella dei Red Hot Chili Peppers (Mother's Milk - era), la velocità è la stessa di una prima palla di Federer. E se il nucleo centrale rimane quasi sempre un grunge molto dilatato intorno ad esso gravitano parecchi elettroni: non crossover totale, ma quasi. Bisbigliando, i Nostri ci dicono di voler fare art rock.

"Dig", in definitiva è un album riuscito, frutto dei tempi che furono, a cui mancano un paio di brani per poterlo definire classico o capolavoro. La stessa spiacevole sensazione che si ha analizzando la carriera de I Mother Earth, a cui sembra mancare sempre un centesimo per fare un euro.

Un peccato, ma consiglio di vedere il bicchero mezzo pieno. Anzi, ascoltare.

VOTO 8

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