La Svezia è diventata nota a livello mondiale per la sua propensione a sfornare musicisti con una sensibilità del tutto particolare: Gruppi svedesi di svariati generi, dal metal all hip hop, passando per il rock indipendente hanno sempre abituato il pubblico mondiale a livelli di originalità davvero alti e personalità particolari.

E' decisamente a questa categoria che appartengono gli I Used To Be A Sparrow, una band che fin dal primo ascolto può essere facilmente interpretata come un punto di incontro tra le atmosfere "massive" del rock da stadio e la ruvidezza e carica di una band più alternativa. Un pò come ascoltare i Coldplay suonare in un garage.

Il disco parte con Cambodia, più un intro che un brano vero e proprio, la cui lunga coda strumentale fa da apripista per il singolo "Life is good", forse uno dei pezzi migliori dell'album, con la sua atmosfera nostalgica, ma luminosa allo stesso tempo. Il terzo brano "Smoke" lascia le chitarre elettriche in secondo piano, mostrando la particolarità della band di avere due lead vocalists che si alternano e concentrandosi su un tappeti di piano e synth. Lo stesso discorso vale per "Let go", che lascia spazio alla piu rockettara "Hawaii", guidata da un semplice giro di chitarra elettrica che si conclude con un feedback che va a diventare un "drone" di sottofondo alle chitarre acustiche arpeggiate di Lovers on the moon, in un primo momento delicato e statico, poi animato da potenti batterie che ricordano atmosfere vicine "gobbledigook" dei Sigur Rös.

 La formula iniziale di brani come "Cambodia" o "Life is good" ritorna in pieno con "Moby dick", arricchita da una bella voce femminile nel ritornello e delle linee di chitarra molto aperte e ariose. "Luke" è il momento del disco in cui la band decide di uscire dai soliti circoli, sperimentando con chitarre noise, suoni strani e sezioni accapella.  Una sorta di interludio , che porta l'album vicino alla chiusura, con "give it up", dove spicca il contrasto tra la "fredda" elettronica delle drum machines e dei loop con la calda, ma decisa chitarra acustica che regge l intero pezzo. Copenhagen ancora una volta riporta il suono "full band" al centro del ritratto, ed è la prima volta in tutto il disco che i due cantanti giocano a scambiarsi linee nel bridge. Il disco chiude con Alaska, pezzo che spinge inaspettatamente sull accelleratore, lasciando quasi intravedere influenze punk rock, in cui tutto è un pò piu ruvido, ma senza spostarsi drasticamente dalle atmosfere generali del disco.

In conclusione, "Luke" è un album davvero difficile da catalogare:

è evidente che la band cerca l'elemento "pop" e vuole rendere la musica "di facile presa", ma è anche vero che lo fa senza ricorrere a soluzioni "ovvie" o gia sentite e risentite, guadagnando un sacco di punti in termini di personalità e credibilità, confezioando un disco compatto, ma caratterizzato da piacevole varietà e molte citazioni musicali, dal pop rock dei sopracitati Coldplay o U2, fino a gruppi come The Appleseed Cast o Editors e artisti come Elliott Smith o Damien Rice.

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