Finalmente Jonna Lee (pardon... Iamamiwhoami) è uscita dalla grotta.

Dopo quelle sette perle magiche che hanno per titoli lettere, canzoni spurie ("John", "Clump") e un progetto/concept enorme sulla nascita della mandragora, intrisa di paganesimo, continui rimandi psicosessuali, weirdismo come se piovesse, glamour, oscurità e inquietudine, eccola uscire allo scoperto. Dimenticato, ormai, il mistero che da oltre due anni ha attanagliato l'allure del suo progetto parallelo, dimenticate le ballatine su chitarra acustica, eccola con il suo primo vero album: "Kin". Già misterioso da titolo, è un album composto da nove pezzi, accompagnati da altrettanti video che formano un altro tassello in questo bizzarro viaggio all'interno della tradizione nordica.

Nove canzoni che maturano ulteriormente la visione della performer, una donna bruttina, scheletrica e un po' supponente, eppure dotata di un carisma enorme, che finisce per annichilirti. Nove canzoni che sviluppano le sensazioni estatiche dei pezzi con cui esplose, lanciando un forsennato tam-tam telematico sulla sua identità. Ora Iamamiwhoami esiste. Eccola qui. Racchiusa in un cofanetto fisico, un piccolo e prezioso tesoro che, finalmente, si fa palpabile.
Perchè, se molti dettatori che giudicano la sua musica "un mero accompagnamento a video di bellezza cinematografica intensa", "colonna sonora prescindibile di un concept che è interessante solo per la sua complessità e viralità", ora potranno tenere finalmente la bocca chiusa.

L'ambizione della musicista è innegabile e raggiunge un ego che raramente si è raggiunto, ma va bene così, perchè Jonna Lee scrive delle belle canzoni. Basta l'opener "Sever", una dolente e minacciosa ballata romantica, che si conferma la sua composizione più bella e toccante. La voce sonnolenta, ma carica di pathos, il valzer crepuscolare di tastiere, i coretti appena accennati, la salita all'eden. Magia pura.

Iamamiwhoami crea un universo fatto di sensazioni mistiche, volteggi atemporali e lunghe distese di nulla che opprimono, ma sa anche farti, in modo beffardo, ballare (basta l'esplosiva "In Due Order", una bomba elettronica ad orologeria, di una carica sessuale da fare invidia a molte altre ninfette). Iamamiwhoami è un'artista, capace di crogiolarsi nell'ambiente pop per distruggerlo. 

Rimanda, occhieggia a maestre inarrivabili (da Bjork a Roìsin Murphy, passando per Fever Ray), ma riesce a mantenere sempre una certa identità musicale in grado di darle onore e merito.

Che dire di una bellissima "Kill"? Un Pezzo con la P maiuscola: trascinante e viscerale, canticchiabile, ma anche fatale. 
Osa dove pochi oserebbero, capace di toccare l'anima con grande naturalezza ("Rascal" e il suo sospiro crescente, con l'elettronica che sembra prendere il sopravvento, rimanendo solo un lontano tuono industrial su un mare calmo di dolcezza), ma anche di scatenare irresistibili inni electro ("Goods").

"Idle Talk" ferma il tempo e diventa un magnifico flusso di paradisiache sospensioni, "Drops" è un vortice sonoro che cattura e affligge, zompando in punta di piedi tra scariche di battiti elettronici, il finale di "Good Worker" è in grado di portarti ovunque tu voglia, trascinandoti tra le foglie secche, come succede alla stessa Jonna nel video del brano musicale. 

E poi c'è la pura euforia di "Play", che non teme di diventare kitsch e non lo diventa affatto, ponendosi tra gli ABBA e il trip hop, senza essere nessuna delle due controparti.

Niente da fare: "Kin" è un album eccellente. Uno dei migliori di quest'anno. Funziona benissimo anche senza i suoi video (che sono comunque da vedere) e conferma la sempre più crescente creatività di un'artista che farà tanta strada.

E ora scusate, ma devo aprire l'armadio e ballare come un drogato con il mio amico immaginario.  

Carico i commenti...  con calma