Nell’editorialino di ieri dimenticai (causa amnesie latenti dovuto molto probabilmente all’età) di inserire la lettura di questo brevissimo romanzo (consta di sole 64 pagine che si possono leggere in meno di un’ora) con ancor una più breve riflessione incentrata sull’io in letteratura, praticamente la si può considerare come una storia dove (e qui rubo le 6 parole dell’Einaudi.it) “si può consumare il crimine perfetto”, nel senso che chi viene criminalizzato non si rende nemmeno (o finge di non rendersi) conto di esserlo stato.

La particolarità anzi le particolarità di questo racconto sono più d’una, in primis è che fu pubblicato precedentemente c/o il famoso periodico culturale americano “The New Yorker” ovvero la prima parte legata al romanzo mentre la seconda parte (quella riguardante il saggio sull’io) ed è un intervento di IME pronunciato al conferimento del premio Bottari Lattes Grinzane 2018, in secundis questo libro fu pubblicato originariamente nel 2016 mentre in Italia uscì solo nel 2018 c/o Einaudi in occasione del 70° compleanno di IME, in terzis non posso rivelarlo senza spoilerare il piccolo grande furto contenuto nel piccolo volume ehm, lo scoprirete soltanto leggendolo…

ATTENZIONE

Solo per chi fosse interessato (e al contempo non gliene freghi più di tanto degli spoiler) ecco alcuni brevissimissimi estratti da me evidenziati nel corso della lettura col mio kindle e che fanno da ingredienti a “My Purple Scented Novel”:

  • facevamo l’amore l’uno con la ragazza dell’altro e, in qualche sporadica circostanza, provammo a igaggiare una relazione omoerotica.
  • La relazione tra noi era semplicemente una posa anticonformista. Pensavamo ci rendesse irresistibili. La verità era che la vista del pene dell’altro ci risultava repellente.
  • Lavoravamo entrambi ai nostri primi romanzi che avevano parecchio in comune: sesso, disordine, un certo gusto apocalittico, un pizzico di violenza, un po’ di stilosa tetraggine, e battute fortissime su tutto ciò che può andare storto tra un ragazzo e una ragazza.
  • (2 termini insoliti per me…) loppa, barbonismo
  • Il suo fisico, la statura (dire da nazista sarebbe ingiusto – diciamo una specie di Bruce Chatwin con l’aria torva, alla Mick Jagger)
  • Sovrappensiero. Osservai un tordo un po’ malandato zampettare avanti e indietro sull’erba, a caccia di un verme.
  • Mi godevo semplicemente il calore di un’esperienza di lettura straordinaria, una forma di riconoscenza profonda che tutti gli amanti della letteratura conoscono bene.
  • In uno di quei barbari «sfoltimenti» delle cosidette «medie tirature», il mio editore aveva «con immenso rammarico» deciso di sacrificarmi.

E questi che fanno da ingredienti a l’io:

  • Un paio d’anni fa mi trovavo a Venezia in piazza San Marco seduto davanti a una tazza di caffè e osservavo il passaggio di migliaia di turisti come me. Quasi tutti avevano un apparecchio fotografico. A decine scattavano foto non già del Palazzo Ducale tanto splendidamente descritto da John Ruskin, bensì di se stessi davanti a quel palazzo. Tenevano i cellulari il più lontano possibile o si facevano aiutare da appositi estensori. Le meraviglie di Venezia non erano complete senza la testimonianza di un io in mezzo a loro. Guardatemi, sono qui. Molti tra quei turisti, specie i più giovani, sarebbero andati su Facebook il giorno stesso per far conoscere al mondo le loro gesta dei loro insostituibili, specialissimi io.
  • Mi sono sempre sentito in soggezione al cospetto di autori come Saul Bellow, John Updike o Charles Dickens.
  • A sostegno del proprio senso dell’io fa appello a Emerson: «Siamo trascinati dal destino lungo il fiume della vita con l’espressione seria e l’assoluta ignoranza di infanti portati a spasso su un carrozzino di vimini».
  • Nessuno di noi è un cervello su una piastra di Petri.
  • il brivido lungo la schiena che proviamo all’ascolto di un particolare brano di Schubert.
  • In un certo senso non sappiamo nulla della vita interiore degli antichi Egizi.
  • «Siamo fatti tutti di pezzi», dichiara. «E’ la più gran cosa del mondo saper essere per sé».
  • Niente accorcia il fiato ai pensieri più della paura e della fame.
  • Viviamo in tempi più duri, ma più interessanti. Possiamo radunarci in massa in luoghi turistici come piazza San Marco, armati di smartphone e pronti a scattare selfie, ma siamo soli dinanzi alla tragica impermanenza del nostro io mentre, come Amleto, affrontiamo la mortalità di questa «quintessenza di polvere».

Ehm, dopo questa settecentina di parole di cui solo una duecentocinquantina non copiate dal libriccino non parlerò ulteriormente delle sensazioni e della trama ma, vi dirò apertamente che non va a finire come tutti ci si aspetterebbe, proprio no, e niente…

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