Gli anni Novanta, a differenza del decennio precedente, non sorridono all'heavy metal classico. Superato il ciclone del grunge, che di fatto rivisita l'hard rock degli anni Settanta, il metal si frammenta in mille rivoli, con le varie branche estreme a farla da padroni: se in Europa il black va per la maggiore, negli Stati Uniti a tenere banco ci pensa il death metal. Il metal più tradizionale prosegue nel "sottosuolo", grazie ad una serie di gruppi che prepara il terreno alla grande ribalta power di fine decennio. Tra gli alfieri del movimento ci sono gli Iced Earth di Jon Schaffer e Matthew Barlow, che con una manciata di dischi riescono ad imporsi tra i custodi dell'ortodossia metallica. "Burnt Offerings" (1995), "The Dark Saga" (1996) e "Something Wicked This Way Comes" (1998) sono oggi considerati dei classici del genere e il mastodontico live celebrativo "Alive In Athens" (1999) gode della stessa stima di un "Alive!" o di un "Live After Death".

A inizio anni Duemila, dopo l'ennesimo rimpasto di formazione, Schaffer si ritrova a dover sostituire proprio il fidato cantante Matthew Barlow, nonostante le registrazioni del nuovo album siano praticamente già concluse. A salvare la situazione ci pensa Tim "Ripper" Owens, ai tempi ancora dietro il microfono dei Judas Priest. L'ingaggio di Owens ai tempi fece storcere il naso a molti: abituato ai falsetti del Prete di Giuda sarebbe stato capace di interpretare i vecchi classici degli Iced Earth, caratterizzati dalla voce calda e cupa di Barlow? Tutti questi dubbi evidentemente non se li pose Schaffer, che offrì a Owens il posto a tempo pieno.

Arrivato finalmente nei negozi nel 2004, "The Glorious Burden" vede il gruppo di Tampa affrontare delle inedite tematiche di carattere storico, con Jon Schaffer che si dedica anima e corpo a far rivivere in musica eventi bellici che hanno segnato la Storia. L'album esce in diverse edizioni, con scalette e brani differenti, a seconda del mercato in cui viene pubblicato: la versione qui considerata è quella europea.

Si parte con “Declaration Day”, pezzo valido e molto sentito, che non spinge sull'acceleratore e con un buon ritornello. “When The Eagle Cries” affronta, da un punto di vista “molto americano”, i fatti dell'11 Settembre, e mostra un gruppo a proprio agio anche su pezzi lenti e cadenzati. “The Reckoning (Don't Tread On Me)” è un ritorno a vecchie sonorità, con Ripper che fa sfoggio di quello screaming che gli aveva fatto ottenere il posto nei Judas anni prima e Schaffer e soci che picchiano come ai tempi d'oro. Coinvolge il seguente “Attila” mentre “Red Baron/Blue Max” è l'ennesima dimostrazione di come Owens potrebbe cantare anche l'elenco del telefono.

Facendo dei paragoni col passato, per questo nuovo lavoro ci si allontana da quel power/thrash serrato che aveva contraddistinto la proposta del combo americano per avvicinarsi ad un heavy/power di più ampio respiro ma non meno efficace. Va anche sottolineato come, per l'ennesima volta, la chitarra di Schaffer si sia circondata di musicisti di assoluto livello, visto che, oltre al nuovo acquisto dietro il microfono, la sezione ritmica è affidata a James MacDonough e Richard Christy, basso e batteria, senza dimenticare la sei corde di Ralph Santolla, qui presente come ospite. L'album non ha cali, è pieno di idee e vengono valorizzati tutti i musicisti grazie ad una buonissima produzione. “Hollow Man” e “Valley Forge” vorrebbero rappresentare il lato più intimista del disco, ma non convincono del tutto, mentre “Waterloo” si attesta sul livello dei pezzi precedenti. Discorso a parte per la trilogia di “Gettysburg (1863)”, che chiude l'album. Si tratta infatti di una lunghissima suite, di oltre trenta minuti, sulla battaglia combattuta tra l'esercito sudista e quello unionista nei pressi, per l'appunto, della cittadina di Gettysburg e rappresenta il momento più alto dell'intero disco. Per l'occasione lo stesso Jon Schaffer ha inserito all'interno del libretto delle note per spiegare come ha lavorato ai tre brani, uno per ogni giorno di battaglia, il significato dei testi e come la musica accompagni gli eventi che di volta in volta vengono narrati. La suite si avvale inoltre della partecipazione dell'Orchestra Filarmonica di Praga, che riesce a rendere il tutto ancora più solenne e sentito e rappresenta la perfetta conclusione di un ottimo album, sicuramente diverso dai precedenti ma non per questo di minor valore.

Ai tempi non tutti accolsero “The Glorious Burden” con favore, forse perché troppo legati alla voce di Barlow, mentre altri apprezzarono l'enorme lavoro svolto sia per la musica che per i testi, senza dimenticare le prestazioni dei singoli musicisti, con un gruppo davvero in ottima forma. “The Glorious Burden” rimane quindi un grande album, che si fa ascoltare con piacere anche da chi non è troppo avvezzo all'usuale proposta degli americani, grazie ad una scrittura ispirata e a liriche che vanno oltre gli abusati luoghi comuni del genere. Gli oltre settanta minuti di durata potrebbero sembrare troppi ma se si ha la pazienza di dedicargli la giusta attenzione ci si ritroverà tra le mani un piccolo gioiello.

Iced Earth:

  • Tim Owens, voce
  • Jon Schaffer, chitarre e voce
  • James MacDonough, basso
  • Richard Christy, batteria

“The Glorious Burden”:

  1. Declaration Day
  2. When The Eagle Cries
  3. The Reckoning (Don't Tread On Me)
  4. Attila
  5. Red Baron/Blue Max
  6. Hollow Man
  7. Valley Forge
  8. Waterloo
  9. The Devil To Pay
  10. Hold At All Costs
  11. High Water Mark
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