Essere in ritardo di un anno per recensire un album può essere un'arma a doppio taglio: hai avuto un anno di tempo per sentire, sentire e sentire il disco ma ti bruci anche quella sensazione di novità e "prime impressioni" che il disco ti ha fatto provare. La faccio ora semplicemente perchè ho continuato a rimandare e penso che sia arrivato il momento di smetterla di procrastinare.

"Everything Ever Written"è il settimo album della band scozzese Idlewild, uscito il 16 Febbraio 2016 per la Empty Words. Premetto che nel corso dello scorso anno ho ascoltato molto questo gruppo e senza problemi posso dire che è diventato uno dei gruppi che più ho piacere ascoltare per via della loro discografia abbastanza varia, nel senso che senza strafare (perchè non stiamo parlando di chissà quale gruppo "tecnico") negli anni hanno saputo variare senza stravolgere il loro suono originale.

Fatta la premessa, questo album arriva dopo un deludente (ma per chi?) "Post Electrical Blues" del 2009 che a giudizio di molti era l'album che segnava la fine del gruppo scozzese. E non avevano tutti i torti, il gruppo si sciolse per un po' ma poi, tornati insieme, sfornano questo nuovo akbum e a mio avviso il risultato è molto più che decente. Si parte con due singoli "Collect Yourself" e "Come On Ghost" che sono due brani alla Idlewild con una novità, soprattutto nel secondo, un finale con molti suoni ed effetti che da li praticamente accompagnerà tutto il disco. Con la terza "So Many Things To Decide" si abbassa un pò il tono e poi si passa con quella che sarà l'opener dei concerti per promuovere questo album, "Nothing I Can Do About It", forse la traccia migliore del disco, con un ritornello molto orecchiabile, dei cori femminili posizionati molto bene con l'unica pecca che, a mio avviso, la batteria sembra troppo, troppo compressa. "Every Little Means Trust" è il singolone, un buon pezzo che richiama i loro vecchi lavori, Proseguendo a mio avviso sono degne di nota "(Use It) If You Can Use It" con un assolo di chitarra lungo ma fatto semplicemente (ed è questo che adoro!) e "On Another Plantet", una canzone dove chiaramente si sente un ritorno al loro passato. Il resto scorre via postiviamente senza annoirare con pezzi come "Radium Girl" con un intro che sembra uscito dagli anni '50 e "Left Like Roses" che invece sembra uscita dagli anni '80.

Credo che molte persone considerino questo un "gruppetto" con canzoni banali, a mio avviso non sono mai andati oltre ai vari singoli che giravano molto nei primi anni 2000. Il cantante Roddy Woombie anche con questo album dimostra un ottima capacità di scrittura ed il chitarrista Rod Jones questa volta sale in cattedra, senza strafare. Ciò che mi piace di questo album è che, anche se arriva dopo un momento non propriamente positivo per la band, non hanno cercato di fare un album che vendesse milioni di copie, non hanno cercato i suoni "pop" facilmente vendibili, hanno semplicemente scritto e suonato ciò che volevano. e, visto l'andazzo di molti gruppi negli ultimi anni, mi sento di premiare questo gesto.

Probabilmente se avessi scritto questa recensione appena ascoltato l'album non sarei arrivato a tali conclusioni quindi, a voi le conclusioni.

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