La voce dell’iguana sembra uscire dal fondo di un posacenere “Non ho altro che il mio nome... non sono altro che il mio nome”, intona malinconicamente durante un momento di profonda riflessione, preparandosi al momento in cui Iggy Pop dovrà tornare ad essere Jim Osterberg.
Jekyll/Hyde, il carismatico, premuroso e colto Jim e l’alter ego schizzato Iggy. Cosa sarà̀ di me dopo tutti questi anni di servizio? Cosa succede, quindi, se alla fine sembri a tutti inutile? Riesci a fartene una ragione? Un presagio della caduta che avverrà quando inevitabilmente dovrà appendere l’ugola al chiodo.
Tormenti di un artista direte voi, o tormenti di un uomo che ha più passato alle spalle che futuro di fronte a sé?
Sembra che Iggy, a 69 anni (all’epoca della pubblicazione), si sia allontanato dalla visione brutale del rock e dai concerti kamikaze con fratture multiple e fiumi di sangue, e sia giunto piuttosto a uno stadio di riflessione profonda. Un uomo che ha scandagliato gli abissi della depravazione, ma ne è emerso con indiscutibile nobiltà.
Difficile comprendere pienamente sia le altezze sia le profondità della sua esperienza, poiché gli estremi sono semplicemente oltre il regno della comprensione della maggior parte delle persone.
C’è un’età limite per stare a petto nudo in mezzo alla gente? “Non c’è un’età, e la gente può anche baciarmi il culo. Nudo”.
Non si ritira allora? "Non ci penso proprio, non sono un rottame. Non ho paura del tempo che passa. L'energia non si scioglie, indurisce con me. Voglio continuare a lavorare, a reagire al mondo che cambia ed essere testimone della bellezza del nostro pianeta".
Cosa diresti al giovane Iggy? “Gli direi di non crescere”.
Che Iggy sia ancora vivo oggi, per non parlare del fatto che sia sempre in grado di esibirsi con immutata energia, è una meraviglia. Che a quasi 70 anni realizzi un album che, a distanza di 8 primavere dalla pubblicazione, suona più fresco e mortalmente vitale che al primo ascolto è una consolazione per chi comincia a imprimere le orme sulla Sunset Boulevard.
Un disco che riprende il brivido avant-rock delle collaborazioni di Iggy con Bowie, più nello spirito esplorativo che espressamente nel suono. Un suono che, a discapito della produzione affidata a Josh Homme, non è certamente l'esplosione psych-punk dei “Queens of the Stone Age”, ma incanala l'eredità di Iggy nel suono moderno, attraverso groove ipnotici e potenti. Ma più che per la resa sonora (nulla di nuovo, ma a livelli siderali), il lavoro si apprezza per la scrittura dei testi.
È un disco ossessionato da due cose: il sesso e la morte. “Il tuo culo a clessidra / E la tua schiena possente / I tuoi occhi obliqui da diavolo / E il fossato lungo la schiena”, (“Gardenia”). La morte è “una pillola difficile da ingoiare” (“American Valhalla”) “Il tempo è così stretto, si sta avvicinando” (“Break Into Your Heart”). In “TV Eye” intima che una vita lussuriosa può portare a un fossato di sei piedi: “Spero di non perdere la vita stanotte” canta, sottolineando l'ultima parola con un grido disperatamente terrorizzato.
Consapevole della vacuità del successo: “Quando arrivi in fondo, sei vicino alla vetta / la merda si trasforma in gocce di cioccolato” (“Chocolate Drops”) e con un colpo di coda finale riservato al “sistema” “Prendi il tuo dannato laptop / e ficcatelo in quella maledetta bocca schifosa / in quel tuo ventriglio col tacco di merda / pezzo di merda fasullo del cazzo, doppia faccia e tre tempi” con l’unica soluzione possibile, la fuga in “Paraguay”: “La paura divora tutte le anime contemporaneamente / sono stanco di ciò / E sogno di partire per una nuova vita / Dove non c'è così tanta maledetta conoscenza / Non voglio nessuna di queste informazioni / Non ti voglio / No, non più, ne ho abbastanza di te”.
Come suggerisce il titolo e come confermano i testi, la depressione post pop è immersa in una nebbia di malinconia. Il patriarca del punk e uno dei più grandi provocatori del rock è consapevole dell’imminente fine e cerca di esorcizzarla allungando la vita artistica fino allo stremo, con la sola consolazione riposta nella speranza che la propria arte possa renderlo immortale. “Credo che ogni mezzo di comunicazione sia lo strumento per avere un pezzetto d’immortalità. Che in realtà non esiste, perché un giorno qualche barbaro deciderà di distruggere tutti gli archivi digitali. Ma fino a quel momento, questo è il modo per allungare un po’ il tuo destino”.
Il problema con la vita è che a un certo punto si ferma. Non si può replicare. Perché alla fine il tempo passa per tutti, anche per The Passenger. Nell’attesa il profeta del punk è diventato un vecchio e saggio filosofo. Ed io, onestamente, non ci trovo proprio nulla di strano.
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