PRODUZIONE DI MASSA #?
Jimmy aveva quell'aria strofinata dei giorni randagi, vagabondava affamato di niente nello sporco della città, con indosso la giacca usata un po' lurida e occhi pesti. L'uomo di stracci seduto all'angolo alzò la mano rugginosa, chiese una moneta da pochi centesimi e capiva, capiva che quello con un buco così nel petto era Jimmy, non lui. Ma James guardava dritto, camminava in fondo alla bestia vogliosa che tormentava le sue notti di polvere e adrenalina suicida. Con passo sonnambulo seguiva la Sorella Mezzanotte, la cercava sconfitto. Lei a volte poteva risponderti acida.
"Qual è il dolore che provi, quale fottuta pillola hai dimenticato?"
La Sorella Mezzanotte riusciva a lenire ferite che sanguinavano da un decennio. Bastava invocarla, e avrebbe trovato un tetto, un riparo alla disperazione fannullona di due anime naufraghe. Nella lunga notte di pioggia e luci lontane, David prese sulla strada l'autostoppista del Michigan, figlio sudicio del diluvio notturno che macchiò di fango il candido velo alle utopie post '68. Lo caricò in macchina, destinazione Francia. Chateau D'Herouville, poi il freddo inverno berlinese degli Hansa Studios. La tigre in gabbia di "L.A. Blues" non ruggiva più, lasciata a morire di ossa spolpate e il ragazzo sembrava solo un altro povero stronzo perso a marcire tra slanci e insicurezze enormi.
"Calling Sister Midnight, can you hear me call...Can you hear me well, can you hear me at all...Calling Sister Midnight, I'm an idiot for you..."
"The Idiot" è un album assoluto, epocale. Irritante nella sua modernità. Un prototipo post-punk nella culla della rivoluzione "No Future", il 1977. Cibernetico e umanista, ansiogeno in abiti e occhiali scuri, fragile ma spaccone: la produzione dello Zelig Bowie è un lucido sputo in faccia a conservatori e presunti anarchici rock. Il vaudeville con l'intossicazione industriale, l'esistenzialismo mitteleuropeo evocato da un crooner paranoide, sul palco di un night club retrò-futurista. Signori, l'Idiota dei nostri tempi si nasconde dietro il sipario rosso. E canta da consumato dandy dei gemiti sintetici di "Baby", e di decadenti "Dum Dum Boys" mentre la sezione ritmica dei fratelli Tony e Hunt Sales, al basso e batteria, scava quadrata nelle parole di Jimmy con l'elettrica deviante di Carlos Alomar.
"La gente diceva che noi eravamo negativi, potevamo prendere senza il bisogno di dare...Volevo soltanto fare un po' di rumore con i ragazzi Dum Dum, e cantare uno strascicato da-da-da..."
Il faro di luce illumina nel pulviscolo l'ossuta sagoma dell'Idiota, e morbide note di sax colorano la ballata al neon di "Tiny Girls". Il gelido battito cardiaco di "Nightclubbing" è ormai il robotico segnale da un futuro prossimo di "piaceri sconosciuti", un electroshock con i fumi della chitarra di Alomar in acido. Come zombi dopo la bomba nucleare attraversiamo le desolate vie, narcotizzati dal presente. Siamo passeggeri della notte che imparano nuove danze, e riti antichissimi. Divertirsi è un gesto meccanico, "Funtime" (il Duca ai cori e tastiere-synth) una luminosa lama wave a penetrare nelle carni malate del Settantasette. "China Girl" ha una turgida e indimenticabile melodia pop\new-wave (tanto perfetta che sappiamo bene quale scrupoloso utilizzo ne farà il furbo produttore, anni dopo). "Mass Production" è il ritmo sempre uguale a se stesso, dei codici a barre sul collo, della spersonalizzazione del Sistema che scruta, seleziona, impoverisce, impigrisce. Il pensiero di massa ha seppellito l'istinto e le relazioni umane. James Newell Osterberg, in arte Iggy Pop, aveva già capito che il rischio era un dialogo tra replicanti. Ologrammi stanchi davanti un televisore spento. Uguali. Stessa espressione. Sogni simili. Stessi incubi.
"I'm buried deep in mass production, you're not nothing new. I like to drive along the freeways, see the smokestacks belching. Breasts turn brown, so warm and so brown..."
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