Bruce Dickinson (Iron Maiden, ndr), lead vocalist in gruppo hardcore melodico...

Con questo semplice paragone, che potrà sembrare forse forzata, si può, già delineare lo stile e il brand distintivo degli Ignite.

Nonostante il nome non eccessivamente altisonante rispetto a loro più blasonati colleghi, la band originaria di Ocean County, California (Offspring e Atreyu), è attiva dal 1994 e ha diverse pubblicazioni alle spalle. Fautori di invettive socio-politiche, il combo sostiene da anni associazioni umanitarie come Medici Senza Frontiere e First Earth.

"Our Darkest Days" rappresenta tutt'ora l'ultimo capitolo discografico risalente al 2006, giudicato da molti addetti e non, come il loro migliore di sempre, e aggiungo io, tra i migliori dischi di questa decade nel suo ambito.

La particolarità che fa la differenza negli Ignite rispetto alla moltitudine di gruppi simili è la bellissima voce di Zoli Teglas, cantante di origini ungheresi, che grazia al suo sublime timbro vocale, capace di raggiungere sonorità altissime e irraggiungibili per un normale vocalist punk, avvalora ulteriormente la proposta di base, fatta di un avvicente hardcore melodico, dove vi è un buon bilanciamento tra melodie e velocità.

Dopo un gradevole e rapido antipasto che funge da intro "Intro (Our darkest days)" appunto, arriva "Bleeding", quella che è senza molti dubbi la perla del disco, nonché uno dei migliori anthem degli ultimi anni, con un ritornello, che non smetterete più di cantare a sguarciagola. Riesce nell'impresa persino di superare quella grande hit che fu "Veteran" sul precedente "A Place Called Home", ricordando un po' nel sound i migliori Offspring.

E' da subito chiaro come ad arricchire la resa sonora dei pezzi, sia proprio l'inflessione a tratti tipicamente "metal" (naturalmente sempre con le dovute proporzioni) dei pezzi. "Fear is our tradition" tra sapori malinconi e ritornelli stupendi è un altro highlight del disco, mentre con "Poverty for all" una base ritmica a cura di Craig Anderson quanto mai vivace, pone le fondamenta per una cavalcata dal sapore epico.

Dopo un inizio da paura "My judgemente day" rallenta un po' la struttura del disco, col suo mid-tempo ben ponderato e avvincente, stesso dicasi per "Slowdown", mentre "Save yourself" rientra nei classici della band, adempiendo anch'essa alla sua funzione.

Tuttavia, curiosamente i pezzi più aggressivi sono tutti riversati nella seconda parte del disco, ove la tripletta "Are you listening", "Know your history" e "Strenght", (intervallate solo dalla più orecchiabile "Three years") costituiscono un trittico di tutto rispetto, ove a spiccare sulla terna è "Know your history" un altro highlight, dove tra parti corali da stadio, voli pindarici, chitarre impazzite come schegge, gestite dalla coppia Balchack/Hill e un gran bel solo molto rock'n'roll, non mancheranno di incendiare il pit ai loro concerti.

A dispetto dell'ottimo songwriting e della varietà compositiva inviabile, dopo la riuscita cover in versione hc melodico del classico degli U2 "Sunday bloody sunday" (già presente come bonus track nella versione europea del precedente disco e qui rifatta in maniera leggermente diversa), i Californiani, dopo una setlist pressochè senza cali rilevanti, affidano alle sole note acustiche dell'emozionante ballad "Live for better days" (sul modello di "Swing life away" dei Rise Against) e ad una ghost-track con echi di world music (ove Zoli duetta con una voce femminile) la chiusura dello spettacolo.

Distribuito da Century Media per l'Europa e avvalorato anche da un raffinato artwork, "Our Darkest Days" a discapito del titolo, mostra alla luce del sole tutte le capacità e la grande classe degli Ignite.

Cento di questi giorni oscuri.

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