"Lungo preambolo più o meno rilevante"
La nuova generazione di appassionati musicofili ha una grossa sfortuna, la possibilità di trovare qualunque cosa il loro viziato orecchio abbia il desiderio o la curiosità di ascoltare, con due clic e pochi minuti di attesa.
Con un pò di pazienza si può arrivare a trovare dischi impensabili, di grande rarità, altrimenti difficilmente reperibili.
Una fortuna direte.
Grazie a queste possibilità illimitate, a noi audaci masochisti piace spesso sommergersi di montagne di dischi da ascoltare, per amore nei confronti di quest'Arte meravigliosa, per studio, per curiosità, per obbligo.
Raramente vedremo collezioni di dischi originali (ancor meno di vinili) superare gli sterminati archivi di Mp3 che ogni individuo nel 2011 possiede. Abbiamo ascoltato più dischi noi nell'ultimo decennio, di quanto miriadi di vecchi capelloni abbiano mai fatto nella loro vita.
Il risultato è una graduale e involontaria perdita della voglia, del desiderio, della concentrazione e della predisposizione all'ascolto, dell'amore puro e genuino verso la Musica, sia anche verso il semplice e scarno suono di uno strumento. Abbiamo perso il gusto primordiale di ascoltare dischi, di lasciarsi cullare o travolgere dalle loro vibrazioni, il gusto di appoggiare la testina sul vecchio piatto nero ipnotico, o non l'abbiamo mai provato.
Un tempo il vinile era oggetto di culto, l'ascolto di un solo disco durava mesi, lo si lodava, si riveriva come oggetto sacro, segnava un periodo importante della nostra esistenza, diventava parte integrante di noi.
Ci siamo fottuti il cervello.
Costantemente di fretta, sotto botta, facciamo una cosa pensando ad un'altra, facciamo finta di ascoltare, di amare, di vivere.
Corriamo veloci, la nostra è una corsa sfrenata, senza meta, ma soprattutto senza tragitto, corriamo alla rinfusa dietro ad un sistema che già da tempo ha iniziato il suo personale conto alla rovescia.
Maledetti automi sbroccati.
Effettivamente in un mondo in cui non si ha nemmeno 10m da dedicare a se stessi o ai propri figli, ricamare spazio per un'ascolto accurato può essere un problema.
Pur trovando lo spazio, difficilmente avremmo la possibilità di alzare il volume a nostro piacimento.
Se abbiamo la fortuna di poterlo fare, il più delle volte ci troveremo alle prese con un impianto stereo che potrebbe entrare in competizione giusto con gli altoparlanti del primo GameBoy.
Altoparlanti con i quali andremo ad ascoltare la nona di Beethoven.
Ci ritrovreremo infine costretti con delle cuffiette alle orecchie, per trovare un maledetto angolo di privacy in questo mondo opprimente malato del cazzo.
Ascoltiamo intere discografie senza dedicargli il giusto tempo, gli ascolti necessari, la dovuta attenzione, ascoltiamo mentre girovaghiamo nel web, leggiamo un libro, siamo alla guida, scopiamo, scriviamo una recensione. Ci giustifichiamo ricordando che la Musica, in fondo, non è che la colonna sonora della nostra vita, dimenticando però che quest'ultima è spesso in grado di cambiarla permanentemente la vita, mutare ciò che siamo e saremo. Siamo noi la colonna sonora della Musica, noi, la sua sitcom preferita.
Ci vantiamo di conoscere, ci piace farlo. Molti ascolti nella nostra vita sono stati anche in relazione di un successivo vanto. Perchè negarlo.
Sviluppiamo quel "formidabile" intuito prettamente e dannosamente Scaruffiano, che ci fa credere di essere gli unici possessori della verità, dell'esperienza necessaria per giudicare intere opere dando giusto un paio di ascolti, magari mentre lasciamo qualche Mi Piace in qualche social network stronzo.
Una volta raggiunto il finto stadio di SuperAscoltatore, è dura ritrovare la strada, dopo milioni di dischi e miliardi di ore dedicate ad essi, diventa sempre più arduo trovare delle opere ancora in grado stupirci, emozionarci, col passare degli anni la loro tiratura diventa inevitabilmente più limitata, nella Musica, come nella vita.
Docteour Fast è stata senza dubbio una delle ultime grandi eccezioni per me, scovato non molto tempo fa, grazie ad un commento di Jargon su una vecchia recensione dei Magma (che ringrazio sinceramente anche per Aurora, dei Theatre Du Chene Noir), trovato con due clic, senza neache il bisogno di forzare le ricerche, roba da matti.
Continuo l'ascolto da giorni. Le persone intorno a me cominciano a chiedersi se non sia stato posseduto da qualche strano essere proveniente da Kobaia. In fondo se lo chiedono da anni. La verità è che questo disco ha qualcosa di magnetico, spettrale, alieno, dal quale non si riesce a staccarsi facilmente.
"(non) Recensione"
Ordunque, se credete che dopo tutto questo cianciare sia così folle da entrare nel dettaglio di questo grandioso ed inquietante lavoro francese, sfornato da una patria di cui non ho mai avuto gran simpatia, siete fuori strada ragazzi miei.
Quello che vi dirò, è che l'Igor in questione è un pianista/compositore francese di origini russe, e che dopo l'uscita di tre dischi sperimentali di altissimo livello e di grande avanguardia per quanto concerne l'utilizzo dell'elettronica (Logos 1970, questo Docteur Faust 1971 e Hathor 1974), raggiunge la sua massima popolarità scrivendo le musiche per Être Dieu, opera magniloquente di Salvador Dalì datata 1974 (2 ore e 26 minuti, divise in 6 tracce).
Per quanto riguarda il disco, il commento di Jargon (non me ne voglia) è l'unico commento che mi sento di riportare.
(riferendosi a Köhntarkösz)
"c'è un prodotto che lo supera per immaginazione, rabbia, cattiveria, magia, oniricità, evocazione maligna e angelicità. Sto parlando di Docteur Faust di Igor Wakhevitch, un disco del 1971 senza uguali al mondo."
Ossequi.
Aimanation - 0.25
Materia Prima - 10.12
Eau Ardente - 4.24
Tenebres (Walpirgis) - 4.52
Matines - 3.53
Licornes - 2.33
Sang Pourpre - 3.55
Tot: 30.02
Igor Wakhevitch: Tastiere, Sintetizzatori
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