La scena indie italiana sembra fatta da gente pronta a scannarsi per apparire più innovativo e soprattutto singolare possibile. Ecco spiegate le schiere di gruppetti che si fanno il verso l’un l’altro, inseguendosi e acchiappandosi in alcuni casi, allontanandosi in altri. In generale, internet ha aperto le porte del genere a tanti gruppi, e il livello medio s’è un po’ abbassato. Ma va bene, mica si può inciampare un giorno sì e uno no nei Baustelle. A proposito della band di Montepulciano: del loro sound (e anche del loro atteggiamento) in questo disco de Il Piccolo Bu , Noi siamo del 2000, ce n’è a iosa. A partire dalla prima traccia, intitolata Imparare, che sembra una versione più suonata di Fantasma. Ma non è l’unica conferma.
C’è anche e soprattutto il solito pop elettronico che è il tema dominante del disco, sia nel singolo Ho scritto una canzone pop sia in Noi siamo del 2000, non a caso i pezzi preferiti degli ascoltatori della prima ora di nascita della band.
Ma questo non vuol dire che non c’è un’innovazione, anzi, è tentata abbastanza apertamente dalle aperture di basso di Barba, o dalla spiritosa Ultima spiaggia.
Ma veniamo alla nota che tutti aspettano: i testi. Questi cantori dell’indie italiano che si prendono gioco del minishowbiz di questo genere, hanno tirato fuori un disco pensato e, di conseguenza, maturo, nonostante fosse il primo. Il Piccolo Bu punta l’indice contro sé stesso, facendo autocritica introspettiva, lasciando al mondo esterno solo spiragli letti comunque liricamente (il pezzo malinconico La Borghesia, che prende spunto dal film I diari della motocicletta). Viene fuori una band divertente ma allo stesso tempo drammaticamente nichilista, che può piacere oppure no, ma che intanto ha già preso due fette di pubblico
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